MICHELANGELO BUONARROTI – UN ARTISTA DIVINO 6 Marzo 2021 – Posted in: Biografie – Tags:

Michelangelo Buonarroti fu uno degli artisti più importanti del Rinascimento Italiano, la sua figura complessa, sfaccettata e per certi versi oscura affascina da secoli gli studiosi e gli appassionati d’Arte di tutto il mondo.

Del Michelangelo pubblico conosciamo tutti la grandezza, le sue sculture come il David o la Pietà sono pietre miliari nella storia della scultura, la sua capacità di lavorare il marmo fino a quasi renderlo materia viva ne fa un’artista dalle doti eccezionali.

Sebbene Michelangelo predilesse sempre l’arte scultorea, da lui stessa definita l’arte più nobile, di immensa bellezza sono anche le sue opere pittoriche, come non ricordare la spettacolarità delle narrazioni realizzate sulla volta della Cappella Sistina o il Giudizio Universale dipinto sulla parete di fondo della stessa.

Nonostante l’eccelsa qualità del suo genio artistico la vita privata di Michelangelo fu sempre contrassegnata da un forte tormento interiore, l’artista toscano aveva una personalità difficile, problematica, il carattere irascibile e fortemente sospettoso di Michelangelo lo condussero a compiere una vita solitaria, dove gli amici si potevano contare sulle dita di una mano, a causa anche della sua ossessione della paura del tradimento.

Si racconta che anche quando era già ormai un artista affermato affidasse ben pochi compiti al suo capomastro e che visitasse personalmente i siti da cui estrarre i materiali per i suoi lavori poiché era solito affermare di non potersi fidare di nessuno.

Il Vasari ci lascia una descrizione non molto lusinghiera del personaggio Michelangelo: nella biografia il Buonarroti viene descritto come un personaggio solitario, burbero, che si curava poco della propria persona vestendosi spesso con vestiti molto usurati e nutrendosi il più delle volte solo di pane secco.

Un altro aneddoto presente nel racconto vasariano è quello che riguarda l’abitudine di Michelangelo a dormire pochissimo probabilmente a causa del suo animo ansioso; l’artista perciò lavorava molto durante le ore notturne calandosi sulla testa una specie di elmo di cartone su cui posizionava una candela in modo da avere le mani libere per procedere nella realizzazione dell’opera.

Il suo caratteraccio e la sua enorme avarizia erano noti ai più, tanto che Raffaello lo ritrae nella Scuola di Atene nelle spoglie del filosofo Eraclito, con il volto imbronciato e la testa appoggiata ad una mano, estraneo a tutto quello che gli accade attorno.

Buonarroti per il suo carattere ermetico e solitario ben si adattava ad essere associato alla filosofia eraclitea da sempre definita criptica ad oscura.

Della figura del pensatore saltano subito all’occhio gli stivali, che si pensa siano stati messi in evidenza da Raffaello per prendere in giro Michelangelo e il suo essere così avaro da non toglierseli mai, neanche per andare a letto, finché non erano lisi e non più utilizzabili.

La sua personalità è forse in parte frutto dell’infanzia infelice che Michelangelo condusse durante i suoi anni toscani. Buonarroti nasce a Caprese, in provincia di Arezzo, il 6 marzo 1475.

Il padre Ludovico Buonarroti era un magistrato podestarile e per questo la famiglia si trovava a Caprese, ma poco dopo la nascita del figlio rientrano a Settignano, sui colli fiorentini.

Secondo di cinque figli, i suoi primi anni li trascorre a Settignano affidato ad una balia, moglie di uno scalpellino.

Michelangelo dirà sempre di essere cresciuto a latte e marmo, poiché allevato in una bottega dove si lavorava la pietra marmorea, segnando così l’inizio della sua passione per la scultura.

Buonarroti esprime infatti fin dall’infanzia una forte inclinazione artistica e nel 1487 va a bottega dal Ghirlandaio, nonostante il padre fosse contrario.

Curioso il fatto che non fu Michelangelo a dover pagare per frequentare la bottega, ma fu bensì il Ghirlandaio a pagare l’artista toscano, colpito ed affascinato dall’immensa bravura dimostrata dal giovane nel lavoro artistico.

Buonarroti si trasferisce così a Firenze dove inizia l’apprendistato con un contratto che lo obbligava a rimanere tre anni presso il maestro.

Qui viene in contatto con l’arte fiorentina del Quattrocento e studia le opere di importanti pittori come Gentile da Fabriano, Verrocchio, Pollaiolo e Masaccio.

Dopo appena un anno, insofferente alla vita di bottega poiché abituato a lavorare in solitudine, lascia il suo posto di apprendista e si trasferisce nella Libera Scuola di Scultura e di Copia dell’Antico istituita da Lorenzo de’ Medici presso i Giardini di San Marco.

La scuola diretta da Bertoldo di Giovanni, allievo di Donatello, è frequentata da personaggi illustri come Pico della Mirandola, Poliziano e Ficino, oltre ad avere una numerosa collezione di opere d’arte ed antichità.

È in questo periodo che Michelangelo sviluppa il suo concetto di bellezza dell’arte: l’arte è imitazione della natura e solo studiando quest’ultima si può giungere a cogliere il Bello.

È però contrario all’imitazione fedele della natura in favore di una sua riproduzione che ne carpisca solo le cose migliori giungendo così ad una bellezza perfetta ed astratta, superiore a quella della semplice realtà che si presenta ai nostri sensi.

Nel 1488 viene invitato da Lorenzo de Medici nel suo palazzo di Via Larga e si immerge così appieno nella cultura umanistica del tempo. Alla corte medicea scolpisce le sue prime opere La battaglia dei Centauri e la Madonna della scala.

Nel 1493, grazie all’intercessione di Piero de Medici, Buonarroti si trasferisce nel convento di Santo Spirito per studiare l’anatomia dei cadaveri provenienti dall’ospedale del monastero agostiniano.

Come ringraziamento per l’ospitalità ricevuta l’artista scolpisce un crocifisso ligneo che può essere oggi ammirato nella sacrestia di Santo Spirito. 

Poco prima della caduta dei medici Michelangelo lascia Firenze per trasferirsi a Bologna, ospite di Gianfranco Aldrovandi. Permane in città per circa un anno e qui collabora alla realizzazione dell’Arca di San Domenico, oltre a cimentarsi nello studio della letteratura.

Lasciata Bologna nel 1496, Michelangelo si reca a Roma per la prima volta. Il suo arrivo nella città eterna è legato ad un singolare fatto.

Buonarroti aveva scolpito il Cupido Dormiente proprio in quell’anno, l’opera viene venduta tramite un intermediario, un certo Baldassarre Del Milanese, al Cardinale Raffaele Riario, spacciandola per un originale dell’età classica all’astronomica cifra di 200 ducati quando era stata pagata a Michelangelo solamente 30 ducati.

Il Cardinale scoperto l’inganno accusa l’artista toscano di averlo truffato e chiede che i suoi denari gli vengano restituiti, Buonarroti si reca perciò a Roma per chiarire l’equivoco e riesce a convincere Riario della sua innocenza.

Nascerà così una fruttuosa collaborazione che porterà Michelangelo a lavorare a Roma iniziando così il suo periodo più fiorente.

Su questa curiosa vicenda gli studiosi ancora si dividono, sembra infatti non da escludere una partecipazione dell’artista toscano alla truffa, poiché la statua presenta evidenti segni di un tentativo di invecchiamento per farla risultare così come un’opera antica.

A Roma, su commissione del cardinale Jean Bilheres realizza La Pietà, sua prima opera di prestigio.

L’artista per Buonarroti doveva scolpire il blocco di marmo “per via di togliere”, doveva cioè liberare dalla pietra le figure che già vi erano imprigionate, portandole alla vita.

Il gruppo marmoreo rappresenta la Madonna che sorregge il corpo senza vita del figlio, la cui anatomia appare perfetta e realisticamente precisa.

Nel 1501 torna a Firenze e qui riceve l’incarico di scolpire per il Duomo la scultura del David.

Per settant’anni il blocco di marmo era rimasto nel cantiere del Duomo dopo che Bernardo Rossellino e Agostino di Duccio avevano provato a lavorarci sopra, rovinandolo con un enorme buco.

Michelangelo riesce a recuperare il marmo creando un’opera in cui la perfezione anatomica del corpo, la cura dei dettagli, come le vene a fior di pelle o la tensione dei muscoli pronti al lancio, ne fanno un capolavoro del Rinascimento. La statua viene poi trasferita nel 1504 in Piazza della Signoria.

Per il matrimonio di Agnolo Doni realizza invece una tavola dipinta rappresentante la Sacra Famiglia, oggi conosciuta come Tondo Doni. 

I personaggi sembrano quasi sculture, i colori vividi e sgargianti ne mettono in luce i volumi e le pose plastiche.

Sempre in questo periodo scolpisce La Madonna con il bambino su richiesta della famiglia Mouscron che la voleva collocare nella cattedrale di Bruges. L’opera realizzata in gran segreto viene consegnata ai legittimi proprietari appena terminata, intorno al 1504.

Due anni dopo Papa Giulio II lo chiama a Roma per commissionargli la realizzazione del suo Mausoleo, che rimarrà però incompiuto per le modifiche apportate al progetto dagli eredi del Pontefice.

Nel 1508 lo stesso Giulio II gli dà l’incarico di dipingere la volta della Cappella Sistina e a questo progetto vi si dedica ininterrottamente fino al 1512.

Michelangelo realizza una serie di affreschi che come tema principale hanno le storie dell’umanità “ante legem” ossia prima della consegna a Mosè delle Tavole della Legge.

Nel 1513 muore Giulio II e gli eredi stipulano un nuovo contratto per il monumento funebre del Papa.

Fanno parte di questo progetto il Mosè e le statue dello Schiavo Ribelle e dello Schiavo Morente, quest’ultime conservate oggi al Louvre. Il mausoleo verrà poi terminato nel 1545 con l’aiuto di altri scultori.

Il nuovo Papa Leone X lo vuole a Firenze per realizzare il progetto della facciata della Chiesa di San Lorenzo, opera che non verrà portata a termine poiché i fondi saranno destinati alla Sacrestia Nuova, sempre commissionata a Michelangelo.

Nel 1524 il nuovo Papa mediceo, Clemente VII affida a Buonarroti il compito di realizzare la Biblioteca Laurenziana che doveva accogliere la collezione di pergamene e rotoli della famiglia de’ Medici.

Nello stesso periodo scolpisce le statue del Giorno e la Notte per la tomba di Giuliano de’ Medici e il Crepuscolo e l’Aurora per quella di Lorenzo.

Nel 1534 Michelangelo si stabilisce a Roma lasciando Firenze senza più farvi ritorno.

Nel settembre dello stesso anno riceve l’incarico di affrescare la parete di fondo della Cappella Sistina, progetto che inizia nel 1536 e porta a termine nel 1541.

In questo periodo proseguono anche i lavori della fabbrica di San Pietro che vengono affidati da Paolo III a Buonarroti nel 1546, dopo la morte del Bramante e l’intervento di altri architetti. Michelangelo progetta la cupola che verrà poi costruita, modificata nel disegno, dopo la sua morte.

Nell’ultimo periodo della sua vita Buonarroti inizia una profonda meditazione sulla morte e questo lo porta a ritornare più volte sul tema della “Pietà”. L’ultima sua opera è infatti la Pietà Rondanini, iniziata probabilmente nel 1552 e rimasta incompiuta a causa della dipartita dell’artista fiorentino.

L’opera presenta parti finite ed altre incompiute dovute ai vari ripensamenti di Michelangelo durante la realizzazione.

Le figure sembrano compenetrarsi, creando una forte carica emotiva. I due corpi sono scolpiti in una sorta di abbraccio, il forte legame madre e figlio è sublimato in questo gesto affettuoso.

Michelangelo muore a Roma nel 1564, alla soglia degli ottantanove anni, in una modesta casa in piazza Macel de’ Corvi, successivamente demolita per far posto al Monumento a Vittorio Emanuele II.

La salma sarà poi spostata nella Chiesa di Santa Croce a Firenze dove riposa tutt’ora.

Di Buonarroti è nota la sua attività di scultore e pittore, ma pochi sanno che durante la sua esistenza Michelangelo compone anche diversi e numerosi sonetti.

La sua attività poetica esula dai toni più soavi e spirituali della poesia quattrocentesca del Petrarca per riprendere i tenori più espressivi ed energici di Dante Alighieri.

Molte di queste composizioni sono dedicate a Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, con cui Michelangelo strinse una profonda amicizia tanto che subì l’influenza benevola della donna che fu per lui sempre una figura consolatrice e una fedele consigliera.

Con la donna Buonarroti intrattenne anche una fitta corrispondenza, entrambi profondamente scossi da turbamenti spirituali, il suo sostegno e la sua amicizia portò Michelangelo a produrre tra i soggetti più innovativi della sua carriera artistica.

Se i sonetti per Vittoria erano composizioni dai toni più pacati e soavi, quasi freddi, di tutt’altro genere erano quelli dedicati a colui che si presume essere stato il grande amore di Michelangelo, ossia Tommaso de’ Cavalieri.

Tra gli oltre trecento componimenti poetici almeno trenta sono dedicati a de’ Cavalieri; i versi di questi sonetti ci fanno conoscere un Michelangelo inedito, innamorato, passionale e fortemente coinvolto.

Dalle parole del Buonarroti traspare la sua idea dell’amore derivante dalla filosofia neoplatonica che il pittore aveva fatto sua; celebre il verso del sonetto G.260 in cui è facilmente intuibile il sentimento per de’ Cavalieri dalle sue parole: “L’amore non è sempre un peccato aspro e mortale”.

A Tommaso de ‘Cavalieri Michelangelo regalò anche quattro disegni, non semplici schizzi o prove, ma complete rappresentazioni su temi che i critici hanno stabilito possano far riferimento alla morale o alla filosofia neoplatonica sull’amore.

Per rendere omaggio a questo grande artista ed essere umano, Patrimoni d’Arte ha pensato una medaglia celebrativa che presenta sul dritto il volto dell’artista toscano e riprodotta sul rovescio una delle sue opere più importanti, La Pietà, conservata presso la Basilica di San Pietro.

Il volto di Michelangelo che è possibile ammirare sulla medaglia riproduce il ritratto forse più famoso realizzato da Daniele da Volterra, amico intimo del pittore toscano.

Il viso segnato dal passare del tempo e lo sguardo triste, malinconico rimandano a un Michelangelo tormentato, cupo, un uomo dal carattere solitario e difficile.

L’artista toscano non fu mai un bell’uomo: di statura media e spalle larghe, il suo viso era incorniciato da capelli ricci e neri, i lineamenti non particolarmente armonici furono ulteriormente peggiorati dalla rottura del naso, avvenuta durante una disputa giovanile con Baldassare del Milanese.

L’aspetto esteriore specchiava l’anima dell’artista: un individuo irascibile, da molti ritenuto come avente una doppia personalità.

Oggi gli studiosi propendono per considerare Buonarroti affetto da una forma di autismo che lo avrebbe portato a relazionarsi in modi a volte bizzarri o esasperati con il resto delle persone.

Sul retro della medaglia è rappresenta la Pietà michelangiolesca, l’opera che rese Michelangelo noto ai grandi committenti dell’epoca esprimendone tutto il suo talento.

Il 27 agosto 1498 il Cardinale Jean de Bilhères, ambasciatore di Carlo VIII presso Papa Alessandro VI, richiese all’allora artista ventiquattrenne Michelangelo Buonarroti una statua della Pietà, con protagonisti la Vergine Maria e Cristo morente a grandezza naturale, per la sua cappella funebre presso Santa Petronilla.

Sebbene il contratto prevedesse la fine dei lavori nell’arco di un anno la Pietà michelangiolesca non fu terminata prima del 1500, nonostante ciò, grazie alla bellezza e alla grandezza della scultura a Buonarroti fu pagata la somma di ben 450 ducati.

Inizialmente collocata presso Santa Petronilla, fu poi posta nella Basilica di San Pietro, dopo che a causa dei lavori di ristrutturazione della Basilica stessa, Santa Petronilla fu distrutta.

La Pietà rappresenta la Vergine Maria, posta su una sporgenza rocciosa simboleggiante il Monte Calvario, mentre sorregge il corpo del figlio esamine, dolcemente appoggiato sulle sue gambe.

Di grande realismo la veste che indossa la donna, le pieghe sono più grandi e distanti nella parte che copre le gambe, più sottili e fitte sul busto creando un gioco chiaroscurale che rende la tridimensionalità accentuata.

La Vergine ha poi un mantello che le copre le spalle e che è usato per avvolgere la schiena del Cristo disteso sulle ginocchia della madre.

La mano destra della Madonna è appoggiata al costato del figlio, mentre quella sinistra è rivolta verso l’alto. Sulla fascia che ella indossa è poi posta la firma di Michelangelo: A[N]GELVS BONAROTVS FLORENT[INVS] FACIEBAT.

Il Cristo è posizionato abbandonato sulle gambe della Vergine, il corpo magro, esangue trasmette una forte carica emotiva, il capo ricade all’indietro con il viso che guarda verso l’alto.

Il forte dramma umano che si evince dalla scena carica lo spettatore di compassione e malinconia; la perfezione anatomica e delle vesti colpisce chiunque la ammiri facendo rimanere stupefatti dalla maestria del giovane artista.

Curioso è il fatto che il volto della Vergine Maria sia quello di una giovane ragazza, non quello di una donna ormai matura che accoglie fra le braccia il figlio morto.

Michelangelo decise di rappresentare la Madonna con un volto giovane perché voleva richiamarsi principalmente al suo ruolo di vergine, infatti la sua figura di madre del figlio di Dio non poteva essere intaccata dal tempo essendo pura e casta.

Il Vasari sottolinea anche come Michelangelo non abbia voluto rappresentare la donna nel momento della morte di Cristo, ma ricordare invece il momento in cui l’angelo le annunciò che sarebbe stata la madre del Salvatore.

La Pietà ha subito nel corso dei secoli diversi danni: nel Settecento la mano destra della Madonna fu danneggiata e perse quattro dita che furono poi restaurate nel 1736 da Giuseppe Liorioni.

Il danno più ingente lo subì però nel 1972, quando fu esposta al pubblico e uno squilibrato, Laszlo Toth, la danneggiò pesantemente con un martello.

La scultura riportò seri danneggiamenti soprattutto al volto della Madonna e al braccio sinistro della stessa.

Fortunatamente i frammenti erano ancora abbastanza integri da poter permettere la ricostruzione delle parti danneggiate, riportando l’opera alla sua bellezza originaria, in grado di emozionare chiunque abbia la fortuna di poterne ammirare la maestosità e la perfezione.

 

(Fonte bit.ly/2OsxXfw)