PAROLE – LA VERA STORIA 1 Dicembre 2022 – Posted in: Parole – Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

La storia delle parole, a parole

Ed è la corsa a ritroso del presente linguistico fino al passato di passaggio: il momento in cui, da una lingua, una parola è passata in un’altra, modificandosi attraverso i suoni di chi l’ha accolta; oppure cambiando la sua natura attratta dall’opposto di un contrario. O ammorbidendo le proprie asprezze nel deflusso innocuo e rasserenante di una generalizzazione.
Chi si offenderebbe più, ormai, sentendo definire testa la propria testa, anche se in origine c’era una differenza sostanziale tra “caput” e ‘un vaso di coccio’.
E anche se – vista la “tragedia d’uso” che ne è stata fatta – non è proprio la parola più elegante del mondo, chi coglie più in fregare il riferimento osceno di partenza che divertiva gli spettatori del Cinquecento?
Se è vero che la lingua c’è e si muove, l’etimologia è uno studio ricostruttivo di coreografie: un modo per ricreare la danza antica delle parole dai primi passi mirati fino alle evoluzioni immediatamente individuabili dei nostri giorni. Magari commuovendoci, per quell’antico “muoversi di qua e di là” del francone *dintjan da cui – è proprio il caso di dirlo – le danze sono cominciate.
Se è vero che ogni parola ha una sua storia fatta di storie intrecciate, quello che vi viene chiesto, adesso, è di contribuire a raccontarle bene: scegliendo le affermazioni vere tra le altre.
Senza fidarsi dei falsi amici che spiegano; e con il giusto rispetto – se possibile – per il lungo viaggio migrante che le parole hanno affrontato, nello spazio e nel tempo, da una lingua all’altra, da un popolo all’altro. Spesso rifiutate, in partenza. Fino a diventare però – fortunatamente – ‘ricchezza e premio’ della lingua d’arrivo.
Si gioca con l’etimologia, sei pronto a misurare la tua curiosità verso tale ambito?

1. Staffa

A. «Il bicchiere della “staff”, no? Quando ci si riunisce con un gruppo di persone e si conclude la riunione con una bevuta, per ratificare un patto…».
B. «L’espressione ‘perdere le staffe’ viene dalla particolarità di alcuni pantaloni da uomo… perché, anticamente, erano allacciati con un tipo speciale di bretelle, le staffe, appunto… Che, una volta perse… Insomma: l’espressione vuol dire ‘trovarsi in balìa di tutto’… ‘essere indifesi’, capito?».
C. «Ma come fai a non capire?… Te l’ho già detto che tieni il piede in due staffe… O sei dalla mia parte, o sei dalla sua… … No, no. Se proprio vuoi saperla tutta, è la peggior forma di ipocrisia che io abbia mai visto…».

2. Geloso

A. «Gelosìa è una parola chiara: viene da gelo. Proprio per il ghiaccio che afferra le vene di chi è geloso, una sorta di paura ‘fredda’ che lo getta nel panico. Pensa: la ‘freddatura’ dell’amore… Pensa quanto è strano: chi è geloso si vanta di esserlo per passione: e invece è solo una persona fredda…».
B. «Le gelosìe, le persiane a grata, in sostanza… Sono state ideate in Medio Oriente. E nell’antichità venivano costruite con listelle di gelso… Da qui, arrivando in Europa intorno alla fine del X secolo, sono diventate *gelsarie poi *gesolìe e infine gelosìe… Ma la ‘gelosia’ non c’entra niente…».
C. «Geloso è chi esagera, sai. Chi è ‘più realista del re’, come si dice… … Tu, per esempio. Sei geloso perché non ti fidi di lei e… e comportandoti così eccedi. E non m’importa che tu ti nasconda dietro la scusa dell’eccesso d’amore… Esageri, fidati di me…».
3. Ciao
A. «Ai mondiali di Italia ’90 il nome della mascotte, “Ciao”, è stato scelto per due motivi. Perché ciao ormai è una parola internazionale conosciuta in tutto il mondo. E poi perché ciao viene da *chiao *chiaio, forme medievali per clāru(m)… L’augurio di una giornata ‘luminosa’, anticamente… E anche di ‘chiarezza’ della manifestazione, volendo».
B. «Sei stato a Catania?… Quando?… E lo so, lo so. No… No. Non ironizzare tanto… sì, è così, ‘servo vostro’ è in pratica il corrispettivo di ‘ciao’, sai… Solo che oggi non ci facciamo più caso…».
C. «Nel medioevo, salutandosi, c’era l’usanza di accomiatarsi augurando l’aciāriu(m), il vero e proprio ‘acciaio’ (della lama). Una sorta di augurio apotropaico: come il moderno “in bocca al lupo”: ci si augurava – esorcizzando il pensiero – di venir trapassati da una spada o da un pugnale… Ma solo per scongiurare ritualmente un pericolo possibile. Da *acciàro si è avuto *acciào e poi ciào».

4. Precario

A. «Precario è come gregario: è attraverso il suffisso che si concretizzano i termini. Quindi da precausitas (‘inutilità, inefficacia, ecc.’) e crecausitas (‘limitatezza, mediocrità, ecc.’) abbiamo i derivati precarius ‘inutile’ e *crecarius/gregarius ‘limitato’, solo aggiungendo –arius».
B. «Precario – e di conseguenza precariato e tutte le parole simili – vengono dal latino praeclarus ‘molto famoso’ o anche ‘illustre per le sue doti, per la sua fama’ e simili. La curiosità viene dal fatto che la moderna precarietà nel senso di ‘incertezza’ nasce da uno slittamento di significato. Attraverso l’idea della vanitas vanitatum, della sostanziale fugacità delle glorie terrene, la vetta della fama è stata quasi da subito identificata con la ‘provvisorietà’ e l’‘instabilità’. I rovesci della fortuna, insomma, incarnati nel significato moderno».
C. «Precario è correlato con prece ‘preghiera’: e viene dal latino precārium ‘ottenuto attraverso le preghiere’, o, meglio: concesso ‘per grazia’. Da qui l’idea di temporaneità data dalla componente – si creda o non si creda – aleatoria e ingestibile delle preghiere».

5. Busillis

A. «Busillis viene dall’inglese tardo-ottocentesco Bus-to-Hills, ‘il bus (l’autobus) per le colline’; uno dei primi esperimenti di trenini elettrici per pendolari fatto nel Devonshire. Una volta penetrato in Italia con il ‘mezzo’, il termine (per poca conoscenza dell’inglese) si è trasformato in busillis. Ed ha assunto metaforicamente il significato di ‘questione che va per le lunghe’, che ‘procede con lentezza’».
B. «Busillis vale ‘difficoltà’ proprio perché ricorda – nella sua storia etimologica – l’errore di un oscuro traduttore dal Vangelo che, di fronte alla scrittura continua di indiebusillis (in diebus illis, ‘in quei giorni’), lesse Indie Busillis. Traducendo Indie ‘Le Indie’ e arrestandosi poi, perplesso, in cerca della corretta versione della sconosciuta parola busillis».
C. «Dal nome (latino) della città di Busille, ora distrutta, in Marocco: che, a causa delle correnti marine fortissime di poco al largo del suo porto, era di difficile attracco per tutte le navi romane in rotta verso il già terrorizzante scenario delle “Colonne d’Ercole”. Busille come Trebisonda; una difficile da raggiungere, l’altra: punto di riferimento».

6. Pizza

A. «Ma pensa tu! La pizza viene dalla Germania!… Sì, cioè… Non proprio l’alimento, ma l’origine antichissima della parola è germanica… da bĭzzo o pĭzzo… che: pensa le parole!… Dal significato di ‘morso’ è passato a ‘boccone’, poi ‘pezzo’, ‘pezzo di pane’, ‘focaccia’… Tutto mi sarei aspettato, ma che la parola italiana più diffusa nel mondo fosse d’origine tedesca… be’, questo proprio no…».
B. «Dal cinese pi-thy-za, letteralmente ‘ruota bianca’, si è poi avuto *pitìzza e pizza più o meno intorno al XIII secolo. Con Marco Polo sono arrivati in Italia gli spaghetti (piatto cinese) e la *pitizza (una focaccia cinese fatta con acqua e farina)».
C. «La pizza era originariamente una cialda croccante preparata come dono votivo ad Apollo Pizio (dal greco antico pytthia, ‘focaccia di Apollo’). Dalla Grecia attraverso la Magna Grecia (prima in Sicilia, poi nella zona del Salento e lungo la costa adriatica) la pizza si è diffusa perdendo le sue componenti sacrali».

7. Cattivo

A. «Per capire bene l’etimologia di cattivo nel senso di ‘contrario alla legge morale’, ‘malvagio’ ecc. bisogna ipotizzare un altro termine significativo che poi è andato perduto. C’è bisogno di un’antica specificazione. Non è così semplice, sennò…».
B. «Cattivo è il gatto, per eccellenza. Dal latino cǎttu(m)/gǎttu(m) cǎtta(m)gǎtta(m), l’aggettivo tardolatino *cattivus da cui deriva l’italiano cattivo. Ne è una spia la sostanziale coincidenza tra l’immagine del Maligno e le sue fattezze di gatto nero…».
C. «Anticamente, il cattévo cattèvo (da cui cattivo, già dal XIII secolo) era il timone delle navi a scafo piatto: in grado di permettere un’altissima velocità di gestione della manovra; esponendo però il timoniere ai molti errori dovuti alla poca stabilità dello strumento. “Fare il cattèvo/cattévo” voleva quindi dire ‘muoversi insidiosamente’, ‘oscillare pericolosamente senza controllo’».

8. Placebo

A. «Non è possibile. Altro che mass-media e summit… Lavabo Placebo vengono dal francese e dall’inglese. Non è incredibile?… È per questo che sembrano anche nomi di gruppi rock…».
B. «Placebo è la parola spagnola che indica ‘il farmaco’, in generale; e in castigliano viene pronunziata pla-sì-vo. Passando dallo spagnolo all’italiano – assumendo tra l’altro un valore semantico più “attenuato” e ascrivibile all’àmbito dell’omeopatia – la pronuncia s’è fatta letterale, perdendo i connotati fonetici originali».
C. «La parola placebo viene dal nome del medico inglese Jonathan D. Placebow, il primo a studiare le componenti medicamentose dell’acido acetilsalicilico e a “commercializzarlo” con il nome – ormai universale – di aspirina».

9. Busta

A. «La prima attestazione di busta è in Sant’Agostino: “poenam bustam habitam” (lett., nel latino nordafricano di partenza, ‘avuta una punizione composita’). Qui busta(m), forma gergale aferetica di (ro)busta(m) vale ‘ripiegata’ e ‘multiforme’. Per un curioso – ma comune – slittamento oppositivo da ‘robusta’ a ‘malleabile’ (quindi ‘ripiegabile’, ‘multiforme’, ecc.) che s’è poi attestato dal Medioevo in poi come unico valore semantico».
B. «La parola busta è la forma ridotta del latino medievale (ar)busta: ‘ramoscelli’. Attraverso un processo metonimico lungo (a partire, più o meno, dal VI-VII secolo), si è passati dalla ‘causa’ (la legna) all’‘effetto’ (la carta prodotta) per identificare l’oggetto “che ne risulta”».
C. «Guarda che la buatta napoletana ha la stessa origine di busta. Una contiene i pomodori l’altra le lettere, ma sempre contenitori sono. … Te lo giuro… Ma sì… Guarda che la storia delle parole è democratica, sai…».

10. Zampogna

A. «La zampogna è lo strumento più antico. Da zampa (antico, probabile incrocio di gamba con cianca/zanca: ma l’etimologia è discussa), con l’aggiunta del suffisso –onīa(m)zampognìa ‘musica pedestre (suonata con i piedi)’. Dal tipo di musica allo strumento il “passo” è stato breve».
B. «Anticamente la zampogna era la sampaghnìa dei Greci (‘strumento di legno’, propriamente: ‘di pino marittimo’). Dal greco, per tramite siciliano, il latino medievale *sampenīa(m) e *samponīa(m). Fino alla prima attestazione del giullare aretino Baccio dei Castigli (1194 ca): “et era tucto sille(n)te ne (l)la via / sin ch’eo sonai pro meo / la zàmponnìa”».
C. «Guarda che la storia di zampogna testimonia dell’importanza dello strumento… Sin dall’antichità. Davvero. Era il simbolo dell’”armonia dei suoni”. La verità è che, nel “gioco dell’etimologia”, Mozart e Bach erano due zampognari».

Risultati e punteggi di “La storia delle parole, a parole”

A. 0 punti; B. 1 punto; C. 3 punti
La parola staffa, da un identico – sebbene non attestato – termine longobardo *staffa, era in origine un ‘sostegno per montare a cavallo’. E, proprio nel senso di ‘arnesi di ferro pendenti dalla sella’ (dentro cui infilare i piedi mentre si cavalca), la storia di staffa parte (più o meno) dall’anno Mille e arriva fino ai giorni nostri. Per questo: zero punti a chi ha mescolato (di là dalle possibili affinità lontanissime date da origini comuni) la staffa con lo staff (maschile), ovvero ‘un gruppo di persone addette ad un compito o a un’attività specifica’. Staff è un vocabolo inglese che significa propriamente ‘bastone’ (come simbolo di autorità) attestato con questo significato dalla prima metà dell’Ottocento: e non c’entra con ‘l’ultima bevuta prima della partenza’ (a cavallo). L’ultimo bicchiere, in sostanza, prima di lasciare la taverna e mettersi in viaggio. 1 punto per chi, attraverso lontani ricordi tanto della staffa per cavalcature quanto della staffa ‘striscia di tessuto o di cuoio’ (fatta passare sotto il piede o la scarpa per tenere fermi i calzoni), si è lasciato abbindolare da un’etimologia falsa ma, in qualche modo, plausibile. Punteggio pieno per chi ha scelto C. ‘Tenere il piede in due staffe’ vale proprio ‘oscillare senza prendere posizione tra due partiti opposti’. E – a pensarci bene – dipende tanto dalla moda quanto dall’equitazione: a patto d’immaginarsi un cavaliere equilibrista e un falso dandy ridicolo e profittatore.
2.
A. 1 punto; B. 0 punti; C. 3 punti
L’«amico» della risposta C ha ragione a chiedere la vostra fiducia (e vi regala tre punti). Perché geloso viene dal latino ecclesiastico zelōsu(m), più o meno ‘pieno di zelante amore’. Da qui, nel tempo, ha assunto varie accezioni: visto che, per tramite provenzale, è passato – parafrasando De André – dall’“amor sacro all’amor profano”. Quindi geloso ‘desideroso’, ma anche ‘riservato’, ‘chi dubita della fedeltà della propria compagna’ o – nel Cinquecento – ‘chi prova invidia’. 1 punto alla A; perché l’etimologia è falsa, ma chi l’ha scelta è cascato in una trappola antica. Già il Salvini notava quanto fosse bizzarro ricondurre a gelo una parola che era legata a zelo, «voce greca originaria, che vale bollore». Allo stesso àmbito semantico vanno avvicinate le ‘persiane a grata’: progettate per salvaguardare la ‘gelosia’ di chi era certo di nascondere, così, la propria moglie alla vista degli altri uomini. Da De André a De André, che nell’album Le nuvole ha cantato (attingendo alla tradizione napoletana) “Fenesta co’ ‘sta nova gelosia /… / Tu m’annasscuonn’ Nennerella bella mia”. 0 punti per chi ha scelto la B , confondendo le imposte della Nova gelosia con la «maschera di gelso» di Ho visto Nina volare. Sbagliando canzone ed etimologia. Ps Gelso viene da cĕlsa(m) ‘alta’, con un sottinteso mōru(m): ovvero ‘pianta del gelso’ contrapposta alla mora di rovo, più bassa.
3.
A. 0 punti; B. 3 punti; C. 1 punti
I 3 punti sono nascosti nella B. Proprio perché il – comunissimo – saluto ciao viene dal veneziano schiao (da leggere s-ciao) che significava propriamente ‘schiavo’: con, sottinteso, ‘sono il tuo’, ‘sono il vostro’ ecc. Proprio come nell’espressione servo vostro citata nella finta telefonata della B. Era un modo esagerato e cordiale per porsi a disposizione della persona salutata, di solito in estrema confidenza con lo schiavo in fieri. 0 punti a chi ha confuso la falsa chiarezza con una promessa di veridicità. Magari fuorviato dall’esistenza – tristemente reale e squadrata – della mascotte calcistica della A. 1 punto per chi – pur nella falsità della ricostruzione – s’è comunque fidato delle possibilità ossimoriche e rituali di certe espressioni augurali. Un saluto morituro che vale comunque il “punto della bandiera” della C.
4.
A. 0 punti; B. 1 punto; C. 3 punti
0 punti, naturalmente, a chi ha sottovalutato (anche per via etimologica) tutti i precari del mondo: caricando la già gravosa condizione di ‘temporaneo’ e di ‘incerto’ con l’offensiva via etimologica dell’inutilità e dell’inefficacia. 1 punto a chi, anche se sbagliando, si è lasciato incantare da un tipo di “evoluzione” plausibile del termine: e ha peraltro concesso alla precarietà una – seppur minima, fugacissima – gloria momentanea. I 3 punti della correttezza sono nella C. E la bizzarria etimologica trova riscontro nel mondo contemporaneo, purtroppo: quando diventa filologicamente, storicamente ed etimologicamente chiaro che nemmeno la precarietà può essere raggiunta (e ottenuta) se non per grazia della sorte o per il tramite labile, incerto e univoco delle preghiere.
5.
A. 0 punti; B. 3 punti; C. 1 punto
1 punto, a chi ha dato la risposta C, viene assegnato per motivi puramente narrativi: quasi ci dispiace che la pericolosissima, conradiana città di Busille non sia mai esistita: mentre Trebisonda sì: anche per questo particolare fuorviante abbiamo evitato la nettezza dello 0. Che invece è il punteggio della A. Solo perché sono troppe e troppo evidenti le incongruenze spaziali e temporali della ricostruzione. Né vale la – motivata – diffidenza nei confronti di certa gestione italiana dei mezzi di trasporto. Punteggio pieno a chi ha riconosciuto, nella meraviglia della spiegazione, la sorprendente realtà dei fatti. E il modo in cui, attraverso l’etimologia, si riscoprono Le Indie nel Vangelo. O si prega la Donna Bisodia nel Pater Noster: la figura popolare – anche venerata – nata per magia estemporanea dal Da nobis hodie (‘dacci oggi’) del Padre Nostro.
6.
A. 3 punti; B. 1 punto; C. 0 punti
La parola italiana pizza si è diffusa nel mondo attraverso la ‘pizza napoletana’, naturalmente. Ma l’origine antichissima della parola è, per l’appunto, germanica. Più o meno secondo la trafila raccontata in modo concitato dallo sbalordito amico della A. Per chi ha scelto l’origine cinese, 1 punto. Perché ha associato gli spaghetti alla pizza in un unico, plausibile iter gastronomico dal Sol Levante fino a Posillipo. Anche se la parola pi-thy-za e il significato letterale che l’accompagna sono del tutto inventati. Così come l’inesistente (e un po’ inquietante) “cialda pizica”: che porta con sé lo 0 dell’errore.
7.
A. 3 punti; B. 1 punti; C. 0 punti
Il gatto non è cattivo. Ma l’etimologia di gatto da cǎttu(m) ecc. (come sostitutivo di fēle(m) dal IV secolo circa)è esatta. Quindi la B si ritrova 1 punto nonostante la malizia fosse negli occhi di chi leggeva. 0 punti per l’improponibile timone ingovernabile (progettato, forse, da qualche ingegnere navale votato al naufragio). 3 punti per chi, pur non conoscendo – o non ricordando – la corretta ricostruzione di cattivo, ha però intuito che mancava qualcosa di significativo. Con il valore di ‘maligno’ ecc. cattivo (dal latino captīvu(m), ‘prigioniero’) viene dal latino cristiano captīvu(m) diăboli, ‘prigioniero del diavolo’, quindi ‘posseduto’. Mancava proprio l’elemento maligno che ha trasformato un prigioniero in ossesso quotidiano.
8.
A. 3 punti; B. 1 punto; C. 0 punti
3 punti (anche se con un trucco, seppur innocente) alla A. Nel significato di ‘lavamano’ lavabo è davvero di tramite francese; laddove invece nel senso di ‘recipiente per l’acqua fissato al muro nelle sacrestie’ l’origine è schiettamente latina (dal salmo XXV, Lavabo inter innocentes manus meas: versetto inciso sull’oggetto vero e proprio e in questo modo ‘ribattezzato’). Lavabo è la prima persona del futuro (letteralmente ‘laverò’) così come placebo, lett. ‘piacerò’. Le cui attestazioni iniziali (prima che si sviluppasse una vera e propria farmacologia) nel significato di ‘medicamento somministrato per accontentare il paziente’ sono inglesi e primo-ottocentesche. La battuta sui gruppi rock è in parte vera (il caso di Placebo); e il misterioso “commentatore”, parlando di mass-media summit si riferisce alle pronuncie anglofile “di ritorno” mass-mìdia e sàmmit. Diffuse, ma sbagliate. 1 punto alla falsa etimologia ispanica della B (solo per il generico riferimento al ‘farmaco’). 0 punti alla C; il nome aspirina (così detto perché indica l’acido acetilsalecitico preparato senza utilizzare i fiori della Spiraea ulmaria) venne coniato sul cadere del XVIII secolo da H. Dreser e brevettato dalla casa farmaceutica tedesca Bayer. Troppo noto il farmaco per confondere inglese e tedesco.
9.
A. 0 punti; B. 1 punti; C. 3 punti
0 punti alla A. E delle scuse sentite per aver scomodato sant’Agostino (e il suo latino scritto) per la creazione della meno plausibile tra le etimologie (anche se, va detto, le possibilità di “passaggio” etimologico da un valore semantico al suo esatto opposto esistono e sono comprovate). 3 punti, invece, per chi ha scelto l’associazione tra buatta e bustaBusta viene dal francese antico boiste (ora boîte: dal tardo Ottocento, ‘piccolo locale notturno’; agl’inizi boîte de nuit ‘scatola da notte’, adattato nelle forme – appunto – boattabuatta ecc.). Boiste, a sua volta, è la resa del francese antico per bŭxida(m), ‘scatola di bosso’ (la stessa origine di bussola, chiamata bòssolo fino al XVI secolo). Ancora fino al Cinquecento il significato primario, mercantile, di busta era ‘astuccio, scatola’. Solo dalla metà dell’Ottocento s’è “sviluppato” e ha “vinto” l’uso di busta, affermandosi contro i termini concorrenti invilupposopraccarta ecc. 1 punto alla B. Anche se la trasformazione del legno in carta in secoli remoti doveva, in qualche modo, far capire (scomodando ancora causa, effetto e figure retoriche) che era solo “fumo negli occhi”.
10.
A. 1 punti; B. 0 punti; C. 3 punti
Un po’ dispiace dare 1 punto alla A: proprio per quel riferimento evidentemente falso alla musica ‘pedestre’ degli zampognari. Va pur detto che l’etimologia poteva essere plausibile (con il dipiù dell’accenno – vero – alle proposte ricostruttive di zampa). Vale il contrario del ‘pedestre’: zampogna e sinfonia derivano dalla stessa symphōnía del greco antico (‘accordo, armonia, concerto musicale’). Zampogna per tramite “popolare”: dal latino symphōnia(m) nel significato di ‘strumento a fiato’; sinfonia è una voce dotta usata per indicare, appunto, prima un ‘complesso armonioso di suoni’, poi il vero e proprio ‘brano strumentale’. Quindi: 3 punti a chi ha trovato risvolti natalizi nel genio salisburghese e in Bach. 0 punti a chi ha dato credito all’improbabile Baccio dei Castigli e ai suoi versi – davvero, questi sì – pedestri.

RISULTATI

Da 10 punti: «Etimofantastici». La storia delle parole vi affascina: ma non riuscite in alcun modo ad ancorarvi alla realtà ricostruttiva della Storia. Siete attratti dal bizzarro: ed è vero che nessuno, senza saperlo per via scritta, può capacitarsi con esattezza del perché si dica tafferuglio. Quello che vi si consiglia, però, è una maggiore adesione alla realtà; un rispetto maggiore per le cose: divisi come siamo – appunto – tra causas e res di cui dobbiamo tenere conto.
Da 11 20 punti: «Etimorealistici». Siete piuttosto consapevoli delle storie che si muovono attorno e dentro le parole. Solo di tanto in tanto vi concedete delle fughe fantasiose di cui non potete privarvi: pena l’esclusione di tutto un mondo possibile di cui – comunque – intuite il peso e l’importanza nella vostra vita. L’unico consiglio da darvi è quello di collegare tutte le strade empiriche tra loro. Evitando di rifugiarvi nell’inverosimile, se siete certi dell’esattezza delle vostre conclusioni.
Da 21 30 punti: «Etimologistici». La storia delle parole, per voi, non ha segreti (o, quantomeno, è notevole la vostra capacità di azzardo sulla plausibilità delle storie raccontate). Riuscite a ritrovare con facilità sedimenti, incrostazioni e splendori decaduti in tutte le parole che vi attraggono. Attenzione a non sovrapporre troppi piani linguistici differenti nello stesso “momento”. Si rischia il caos non gestito: e ci si perde l’assoluta esattezza della comunicazione contemporanea. Ps. Se vi riesce bene, però, vi chiamate Gadda o Landolfi. Tutto sta a essere spietati con le proprie carte d’identità.
(Fonte Treccani)