LA PASTIERA NAPOLETANA 11 Aprile 2023 – Posted in: Lo Sapevi che – Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

La Pastiera è uno dei dolci più tipici della città di Napoli.

Una specialità dalle origini antichissime, ricca di elementi simbolici che la legano ad importanti divinità del passato (come Cerere, dea della fertilità) e al tema della resurrezione: non è dunque un caso che venga considerata dolce pasquale per eccellenza.
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Origini – Qual è la leggenda della pastiera napoletana?

La leggenda, che vuole la sirena Partenope creatrice di questa delizia, deriva probabilmente dalle feste pagane e dalle offerte votive del periodo primaverile.

In particolare la leggenda è probabilmente legata al culto di Cerere le cui sacerdotesse portavano in processione l’uovo, simbolo di rinascita che passò nella tradizione cristiana.

Esiste anche un’altra leggenda che narra di alcuni pescatori che, a causa dell’improvviso maltempo, erano rimasti in balia delle onde per un giorno e una notte, una volta riusciti a rientrare a terra, a chi domandasse loro come avevano potuto resistere in mare così tanto tempo, risposero che avevano potuto mangiare la Pasta di Ieri, fatta con ricotta, uova, grano ed aromi. Per questo motivo la Pastiera iniziò ad essere simbolo di rinascita, oltre che per gli ingredienti, perché aveva dato una seconda vita a questi quattro pescatori.

L’invenzione della Pastiera risale al XVI secolo, molto probabilmente come una sorta di pizza a metà tra il rustico e il dolce. La prima ricetta scritta è datata 1693 e compare nel trattato di cucina Lo scalco alla moderna da Antonio Latini, scritto e pubblicato a Napoli, dove l’autore lavorò al servizio del primo ministro del viceré Francisco de Benavides. Tra gli ingredienti, oltre a grano e ricotta, erano previsti il formaggio Parmigiano grattato, pepe, sale, pistacchi in acqua rosa muschiata, latte di pistacchi, tutto raccolto in pasta di marzapane stemperata con altri aromi antichi.

La ricetta, modificata e perfezionata nei monasteri del centro di Napoli, rende celebri le pastiere delle suore del convento di San Gregorio Armeno.

Nel 1837, un secolo e mezzo dopo la ricetta di Antonio Latini, Ippolito Cavalcanti scrive la ricetta ormai aderente alla Pastiera dolce di oggi nell’appendice dialettale Cusina casarinola all’uso nuosto napolitano, un compendio della gastronomia popolare di Napoli inserito nella prima edizione del suo trattato didattico Cucina teorico-pratica, facendo però anche riferimento all’antica versione “rustica” da preparare con provola grattata.[7]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E qui ci addentriamo in un territorio sacro: Napoli, la Pasqua e la Pastiera. E io sudo.

Partiamo da lontano. A casa mia si è sempre svolta una inconsapevole battaglia intestina delle zie che preparano la pastiera. Zia Nora, che da un mese prima di Pasqua (e anche a Natale) ne prepara almeno una ventina, zia Rosa che ne fa decisamente di meno ma che si difende benissimo (qui lo dico e qui lo nego, a me piace di più la sua, di pastiera), poi c’era mia nonna, che ne faceva una più buona di tutte le altre, riempiendo casa per settimane di quel misto di acqua di fiori d’arancio e frolla.

E quindi, ogni anno, grazie a mio padre che in queste lotte ci sguazza facendole puntualmente intossicare ad ogni festa comandata, da 42 anni, mi tocca mangiare diverse pastiere, che poi sono sempre uguali.

Zia Nora utilizza la ricetta del Talismano della Felicità, utilizza i canditi di zucca insieme a quelli di arancia e di cedro, e mette al bando il mix macedonia candita di Pane Angeli o altre marche perché sostiene che il candito di ciliegia macchi irrimediabilmente il bianco ripieno di grano e ricotta.

Zia Rosa utilizza credo ogni volta una ricetta diversa ma alla fine le vengono sempre uguali e fino ad oggi per me la sua aveva la frolla migliore, non bagnata, che anche dopo i canonici 3 giorni di attesa per assaggiarla non diventava una pappetta unica col ripieno.

E mia nonna, ahimè, grazie a quell’agenda di ricette buttata o smarrita, non sapremo mai quale ricetta utilizzasse.

Per anni, vi dicevo, io la pastiera la ho sempre mangiata regalata, quindi.

Fino allo scorso anno quando, impossibilitata a ricevere una pastiera di famiglia, ho deciso di farmela da sola.

Pasqualina mi aveva parlato al telefono di una sua amica, Marcella Minù Orsi, dicendomi che aveva provato la sua frolla, la sua pastiera, e aveva decretato fosse validissima.

Aveva anche già mandato la ricetta a Patrizia Malomo, se avessi voluto vedere le fotografie di quale fosse il risultato.

Ebbene il giorno successivo ho sfornato la mia prima pastiera come si deve, degna di questo nome.

In giro per la rete ci sono milioni di pastiere, soprattutto nel mese in cui cade la Pasqua, quindi la mia finirà, per rubare il termine alla stessa Patrizia, nel mare magnum delle pastiere del mese di aprile.

Ma confido ancora in qualche lettore che vorrà dare fiducia alla mia, quindi a Patrizie, a Marcella Minù Orsi e alle intuizioni di Pasqualina.

Avessi scritto questo post l’anno scorso, avrei fatto miei le parole di F. Andoli, che ha immesso nel web un elogio breve alla Pastiera.

E ogni volta che lo leggo rido, soprattutto perché il pezzo su Scaturchio lo si può applicare a qualsiasi dolce napoletano ?

La PASTIERA NAPOLETANA

Tra i nostri dolci tipici, é la sola che conserva ancora una dimensione puramente casalinga. Sia chiaro, non che le pasticcerie in città non sappiano farla a regola d’arte, ma la pastiera, quella vera, va fatta in casa. Punto e basta! E, badate bene, nessuna pastiera è mai uguale a un’altra.
Alta, bassa, grano passato a metà o per intero, umida o assai “zucosa”, più o meno profumata di acqua millefiori, con o senza crema pasticcera, pettola sottile oppure più spessa, ricotta fine o più granulosa, uova prese dal salumiere o direttamente da sotto alla gallina allevata dall’ultimo contadino rimasto ai Camaldoli. 
La Pastiera – diciamolo una volta per tutte – non mette d’accordo nessuno: getta scompiglio, crea zizzania, genera competizione, innesca una sorta di guerra civile partenopea. Il motivo? Ogni famiglia é straconvinta di essere depositaria e custode della suprema formula, della ricetta per eccellenza. Una ricetta che, solitamente, si tramanda da generazione in generazione ed è stata annotata, in bella grafia, nel tardo medioevo, su di un quaderno senza copertina i cui fogli ingialliti si tengono ancora insieme con la sputazza. Oh, ma straconvinta che più straconvinta proprio non si può!
La ricetta di mammà, quella della nonna, chell ra bisnonna, chell ra vicina ‘e casa di quando abitavamo chissà dove, chell rà guardaport, quella della sorella della nipote dell’amica ‘e chi te stramuort!
Immancabile poi, è la ricetta dello zio che ha fatto il pasticciere da Scaturchio. Ogni napoletano che si rispetti, per qualche misterioso motivo, ha uno zio che faceva il pasticciere da Scaturchio e ha trafugato, dal suo leggendario laboratorio, la ricetta segretissima. Talmente segreta ca ‘a sann tutt quant, tranne i titolari della pasticceria Scaturchio.

E poi, di pastiera, in casa, non se ne prepara mai una sola. Si cucinano pastiere da regalare a chiunque. Tutti scambiano pastiere con tutti in modo compulsivo al punto che, in questo turbinio di pastiere ca vann annanz e aret, alcune tornano persino indietro sotto forma di dono a chi quella pastiera l’aveva preparata giorni prima ed è talmente “sicuro e padrone” della sua ricetta che la mangia senza accorgersi che si tratta proprio della sua, arrivando persino ad esclamare: “vabbuó, nun pazziamm, io ‘a faccio cientemila vote meglio!”.
Fatidico, infine, è il momento dell’apertura, il taglio della prima fetta a cui fa seguito l’assaggio. Lì, è la famiglia stessa che implode, la guerra civile si trasferisce tra le mura domestiche: “uaaaaa è venuta perfetta”, “no era meglio l’anno scorso”, “nun dicere strunzat, era meglio tre anni fa”, “è colpa ‘e chillu sfaccett ‘e furn”, “l’anno prossimo verrà nu capolavoro”.
Fino a quando non si leva alta una voce, la solita voce, che perentoria nella sua infinita saggezza esclama: ma che ve ne fott, magnate e statv zitt!

Pastiera napoletana

  • Prep time: 3 hours
  • Cook time: 2 hours
  • Total time: 5 hours
  • Serves: 10

Un caposaldo della pasticceria napoletana. Con regole ben precise per una esecuzione perfetta e non eretica.

INGREDIENTI (PER DUE STAMPI DA 20 CM O 1 DA 24 CM E UNO DA 18 O UN SOLO STAMPO DA 28)

Per la Pasta Frolla

  • 400 grammi di Farina tipo 00
  • 160 grammi di Strutto, oppure 200 grammi di burro di altissima qualità
  • 130 grammi di Zucchero a velo
  • 3 grammi di Sale fino
  • 1 Limone, la scorza grattugiata
  • 1 Arancia, la scorza grattugiata
  • 55 grammi di Uova intere
  • 18 grammi di Albume

Per la Crema di Grano

  • 550 grammi di Grano cotto, io utilizzo Grano Chirico
  • 300 ml di Latte
  • 30 grammi di Burro
  • 1 Limone, la scorza intera (va tolta)
  • 1 Arancia, la scorza intera
  • 1/2 cucchiaino di Cannella in polvere

Per la Crema di Ricotta

  • 600 grammi di Ricotta vaccina, o 300 grammi di pecora e 300 vaccina
  • 450 grammi di Zucchero semolato
  • 150 grammi di Arancia candita
  • 4 Uova intere medie
  • 2 Tuorli di uova medie
  • Acqua di Fiori d’Arancio, o estratto… ma va dosato

PREPARAZIONE

La pastiera si può, e probabilmente si deve preparare in due tempi, perché il procedimento non è propriamente breve.

La sera prima, ad esempio, si possono preparare la pasta frolla e la crema di grano, che devono essere perfettamente fredde, la prima per essere stesa senza rompersi e la seconda prima di essere aggiunta al resto degli ingredienti.

Per la frolla, creare un mix sabbioso di farina e zucchero a velo, con il burro tagliato a dadini. Aggiungere la scorza grattugiata di arancia e limone, il sale e le uova leggermente sbattute. Lavorare nella planetaria a bassa velocità (pena squagliamento del burro) fino a che non si otterrà una palla compatta ed omogenea. Avvolgere la frolla nella pellicola alimentare trasparente e trasferirla in frigorifero (per tutta la notte o almeno un’ora se avete deciso di fare la pastiera tutta in un giorno solo).

Mettere il grano, scolato dal proprio liquido di conservazione, in una pentola ampia ed aggiungere il latte con le scorze degli agrumi intere,  la cannella ed il burro. Far cuocere a fiamma dolcissima mescolando pian piano, fino a che il grano non avrà assorbito il latte e il composto sarà diventato cremoso. Fate attenzione perché non dovrà essere troppo “asciutto”… questa crema, raffreddandosi, si addenserà ancora! SEliminare le scorze SOLO a crema fredda!

Preparare quindi la crema di ricotta.

Far scolare la ricotta del siero in eccesso, mettendola in un colino a maglia stretta appoggiato su una ciotola, in frigorifero, per un’oretta. Passare quindi la ricotta attraverso un setaccio sottile, così da renderla fine e cremosa. Aggiungere poi lo zucchero e con una frusta a mano battere fino a che questo non si sarà sciolto.

Fatto questo, mescolare insieme la crema di grano e la crema di ricotta.

In una ciotola a parte, battere leggermente con la forchetta le uova, senza montarle, ed aggiungerle al composto, incorporandole omogeneamente con una frusta. Aggiungere l’estratto di fiori d’arancio con parsimonia. Poche gocce ed assaggiate. Il rischio  saponetta” è quello che si corre.

Aggiungere i canditi ridotti a dadini, mescolando bene.

Preriscaldare il forno a 160°C in modalità statica.

Preparare ora gli stampi.

Nel caso in cui la frolla sia stata preparata la sera prima, e quindi abbia riposato in frigorifero una nottata intera, va tirata fuori almeno mezz’ora prima. Stendere la frolla ad uno spessore di circa 3mm e foderare con essa la teglia di alluminio unta con lo strutto.

Niente carta forno. Niente Cuki. Le teglie della Pastiera a Napoli si regalano con il dolce, e costano 20 centesimi l’una. Procuratevele per tempo, fatevele spedire, ma non mi fate vedere quei Cuki terrificanti.

Buca il fondo della frolla con i rebbi di una forchetta e versarci la crema fino a 5 mm dal bordo.

Con gli avanzi di frolla preparare le strisce da posizionare per creare le losanghe.

Ricordatevelo: sono solo sette. Niente intrecci perpendicolari. Dovete creare delle losanghe non dei quadrati geometricamente perfetti.

Fate aderire i bordi delle strisce alla circonferenza della torta.

Cuocere una pastiera per volta per circa 2 ore. La Pastiera va cotta a lungo e a bassa temperatura. Niente se e niente ma. Se non avete tempo non la fate, fatevela regalare. Dopo la prima ora di cottura, aumentare il tempo di mezz’ora alla volta osservando il colore della superficie per capire se la pastiera è cotta.

Quando la torta comincia a gonfiarsi, aprire e chiudere lo sportello del forno per far uscire un po’ di umidità, e il tutto si riabbassa. Il colore deve essere caramellato, non troppo scuro. Fare in ogni caso la prova stecchino. Quando esce pulito anche se leggermente umido, è pronta.

Una volta cotta, far raffreddare la pastiera completamente nello stampo, senza aver fretta di sformarla, anche perché a Napoli, come vi dicevo, la si regala o si serve a tavola, nello stesso stampo in cui viene cotta.

Vi prego poi, anche se oramai ce lo mettono tutti, per decorazione o per nascondere spaccature o magagne, lo zucchero a velo sopra NON CI VA.

NOTE A MARGINE DI MARCELLA MINÙ ORSI E PATRIZIA MALOMO

La frolla della pastiera viene fatta da tradizione con lo strutto. Nessuno vi spara se la fate con il burro ma almeno sappiate che sono due cose diverse. Volendo si può utilizzare il 50% di entrambi.

Nella maggior parte delle ricette di frolla, la quantità delle uova è molto alta. Questo la rende difficilmente gestibile. Risulta talmente morbida che si spacca mentre la stendete o è difficile da maneggiare. Va comunque fatta riposare a lungo. Questa frolla è un buon compromesso. Resta molto elastica, si stende sottile e non cede assolutamente. E con il riposo dopo la cottura, prende la giusta cedevolezza senza diventare molle.

Fate attenzione alla freschezza della ricotta. Non utilizzate quella industriale e non trascurate l’uso del setaccio.

Il successo di una ottima pastiera è la cottura. Checché ne dica la maggior parte delle persone, la cottura deve essere dolce e lunga.

Questo impedisce al ripieno di seccarsi, non la fa gonfiare eccessivamente (con il rischio che si spacchi) e la asciuga alla perfezione. Diffidate di chi vi dice che la cottura deve essere alta. La bontà necessità di lentezza e delicatezza.

Potete certamente assaggiarla una volta fredda, ma darà il meglio di sé almeno dopo tre giorni, sviluppando l’armonia di aromi per cui è famosa.

La diffusione di pastiera, così come del casatiello, altro piatto napoletano tipicamente pasquale, risale almeno al ‘600. Lo testimonia la seguente citazione tratta dalla favola la gatta Cenerentola di Giambattista Basile (1566–1632) che descrive i festeggiamenti dati dal re per trovare la fanciulla che aveva perso lo scarpino:

«E,venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato.»

Aneddoti e curiosità

  • Si racconta che Maria Teresa d’Asburgo-Teschen, seconda moglie di re Ferdinando II di Borbone, soprannominata la Regina che non sorride mai, cedendo alle insistenze del marito buontempone, accondiscese ad assaggiare una fetta di pastiera e non poté far a meno di sorridere, e da qui nasce il termine “magnatell’na risata” (tipico detto partenopeo che sollecita le genti alla ilarità).
Madonna di Massaquano, nel giorno della sua festa, il martedì di Pentecoste, si mangia la pastiera
  • Massaquano nel giorno della Festa della Madonna, che coincide con il martedì di Pentecoste, è tradizione avere in casa la pastiera. Questo perché è un dolce legato soprattutto alla Pasqua e anticamente la Pentecoste era l’ultima Pasqua (prima Pasqua dell’Epifania, seconda Pasqua di Gloria o Resurrezione e terza Pasqua Rosata o delle Rose era appunto la Pentecoste). Questo era l’ultimo giorno in cui veniva consumata la pastiera in quanto, prima della diffusione del frigorifero, la conservazione di questo dolce a base di ricotta non era compatibile con il clima caldo della Campania.
  • In Campania il termine pastiera non sempre si riferisce alla pastiera pasquale, ma viene genericamente riferito a piatti, dolci o salati, confezionati amalgamando in frittura uova e salumi con pasta (di solito spaghetti o vermicelli), arricchiti con spezie come pepe e cannella. Spesso questo piatto viene anche definito “frittata di maccheroni” ed è piatto elettivo nelle scampagnate primaverili. Più che una variante “povera”, in quanto senza ricotta, della pastiera di grano, si tratta di un altro tipo la pastiera napoletana, potrebbe essere messa in relazione con dolci più antichi confezionati con fili di mandorle o farina, sostituiti poi dagli spaghetti di grano duro.
  • In tempi recenti si è diffusa una credenza popolare secondo la quale le listarelle sulla Pastiera debbano essere in numero di sette per simboleggiare la planimetria di Neapolis, ossia tre decumani e quattro cardi incrociati a scacchiera del centro storico di Napoli. Si tratta di una norma inventata nel 2016, senza alcuna attinenza con le documentazioni storiche e le ricette più antiche.

(Fonti varie)