World Pasta Day 26 Ottobre 2023 – Posted in: Lo Sapevi che – Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

World Pasta Day – Da Napoli nel Mondo

La pasta, simbolo di Napoli, è un’eccellenza che non è originaria di questa terra, ma che ha fatto sua attraverso acquisizione, lavorazione e sublimazione. Fu infatti introdotta in Italia dagli arabi in Sicilia nel XII secolo, inizialmente cucinata e condita con zucchero o giulebbe.
Un dessert, in altre parole. Ma fu solo cinque secoli dopo, nella seconda metà del Settecento, quando i napoletani erano soprannominati “mangiafoglia” e si nutrivano principalmente di verdure – con il piatto più ricco rappresentato dalla “minestra maritata” – che Ferdinando di Borbone avviò una svolta con la rivoluzione agricola del frumento e del pomodoro.
Questo cambiamento fu catalizzato dalla prima produzione su larga scala della pasta di grano duro “Saragolla”, originaria della Capitanata (l’odierna Puglia), trasportata a Torre Annunziata via mare, partendo dai porti di Bari e Brindisi.
Il clima particolare del Golfo di Napoli e la vicinanza delle città vesuviane al mare favorirono l’essiccazione ideale e la lunga conservazione del prodotto, che risolveva problemi di reperimento di cibo e conservazione, il tutto a un prezzo conveniente. I venditori ambulanti di Napoli trasformarono la pasta in un tipico street food, un fenomeno che fu persino descritto da Goethe e altri viaggiatori durante il Grand Tour quando si imbatterono nei “maccaronari” per le strade della città.
Furono loro i precursori della celebre “cottura al dente”.
Fino a quel momento, la pasta veniva immersa in acqua fredda e cotta a lungo per renderla morbida e tenera, ma i venditori napoletani cambiarono il metodo introducendo la rapida cottura in acqua bollente, garantendo così un servizio più veloce.
Scoprirono che questa tecnica conferiva alla pasta una consistenza piacevole al palato e la rendeva più digeribile.
Il loro grido di vendita era “Vierde vierde li maccarune”, che significa “verdi, acerbi, duri da masticare”.
Inoltre, la pasta fu condita in modo diverso, non più con dolci ma con formaggio grattugiato. La pasta divenne un alimento essenziale poiché la città di Napoli si espandeva sui campi circostanti.
Così i “mangiafoglia” si trasformarono in “mangiamaccheroni”, e la cucina napoletana si definì nella sua forma moderna, con la sua iconica immagine.
La pasta e il pomodoro, ormai diventati un matrimonio consolidato, iniziarono a essere prodotti su larga scala nella prima metà dell’Ottocento, quando il grano duro di alta qualità, chiamato “Taganrog”, iniziò ad arrivare a Napoli grazie agli scambi commerciali tra il Regno delle Due Sicilie e l’Impero Russo, grazie agli accordi tra Ferdinando II e lo zar Nicola I.
Gli storici “cavalli di bronzo” nel centro di Napoli, vicino al Palazzo Reale, simboleggiano ancora oggi questo avvenimento.
Anche se la pasta era prodotta con abilità a Genova (Garibaldi era coinvolto nel traffico di grano russo per i pastai liguri), i maccheroni di Napoli, dal Vesuvio alle Montagne Lattari (con Gragnano come apice della produzione), diventarono un’indiscussa eccellenza, rappresentativa delle popolazioni circostanti al Vesuvio.
La conferma che erano diventati un simbolo fu data da Camillo Benso di Cavour durante l’invasione dei Mille di Garibaldi nel Regno delle Due Sicilie.
Con il Generale che aveva appena preso il controllo di Palermo, il Conte Cavour usò un’eloquente metafora culinaria per comunicare a Costantino Nigra gli sviluppi politici delle operazioni militari per la conquista della capitale Napoli:
“I maccheroni non sono ancora cotti, ma per quanto riguarda le arance che sono già sul nostro tavolo, siamo pronti a mangiarle”. In questo contesto, nel Nord Italia si era già diffuso un proverbio spregiativo: “lasagne e maccheroni, cibo da poltroni”, poiché nessuno al Nord si interessava a mangiare alla napoletana. Dopo la Prima Guerra Mondiale, molti reduci meridionali sviluppavano un certo rifiuto per il riso, definito “roba da stomaci deboli”, a causa delle minestre di riso troppo compatte che dovevano mangiare durante il servizio militare, con cartelli che indicavano i cibi come “
Makaroni” o “Spaghetti Stellung” piantati dagli austroungarici. Questa esperienza negativa alimentò il ritorno al consumo di pasta, che fu ulteriormente promosso dalla crescente pubblicità.
La suggestiva immagine del Golfo di Napoli, con il Vesuvio fumante in primo piano, divenne uno sfondo comune per la pubblicità di conserve di pomodoro e pasta, che presentavano barattoli di pelati e donne procaci dalle fattezze indiscutibilmente meridionali.
Il regime fascista al potere, con l’obiettivo di raggiungere l’autarchia e aumentare la produzione di riso nel Nord, lanciò la “battaglia del grano” contro la pasta. Mussolini affermò che “una nazione di mangiatori di spaghetti non può rivivere la civiltà romana!” e ricevette il sostegno dei futuristi, guidati dall’artista Filippo Tommaso Marinetti.
Nel 1930, Marinetti scrisse il Manifesto della cucina futurista, che chiedeva l’abolizione della pasta, considerata una “religione gastronomica italiana assurda”, associata a “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”.
La pasta fu persino accusata di creare squilibri e disturbi di vario tipo, compresi quelli di natura sessuale. Tuttavia, il tentativo di abolire la pasta fallì in modo umiliante quando Marinetti fu scoperto in un ristorante di Milano a godersi un abbondante piatto di spaghetti con sugo rosso.
Questo episodio segnò il declino della cucina futurista e diede il via a una serie di derisioni. Il motto “Marinetti dice basta, messa al bando sia la pasta.
Poi si scopre Marinetti che divora gli spaghetti” rappresentò il crollo della cucina futurista. Da quel momento in poi, la pasta iniziò una risalita inarrestabile in tutta la penisola, conquistando l’Italia e il resto del mondo.
Sorsero grandi pastifici nel Nord e i proverbi denigratori furono sostituiti da stereotipi nazionali e cliché sulla pasta, diventando il simbolo della felicità.
La cucina napoletana, con il suo stile di vita legato alla terra e alle tradizioni, era l’opposto di quanto proposto falsamente dal Futurismo e dal Fascismo.
La pasta divenne l’emblema del Bel Paese nel mondo, rappresentando a pieno titolo il concetto di “Buon Paese”. Questo cibo, originariamente parte del patrimonio napoletano, aveva conquistato il mondo.
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