Cart 0
Sharenting

Sharenting: tutto quello che dovreste sapere prima di mettere online le foto dei vostri figli 24 Ottobre 2022 – Posted in: Parole – Tags:

Foto tenere, spesso buffe, che fanno letteralmente impazzire i followers, ma che portano con sévari dubbi etici, e anche qualche preoccupazione.

Lo sharenting, ovvero la condivisione massiccia di immagini dei propri figli sui social, è un fenomeno che necessita di molta attenzione. La Giornata mondiale dedicata all’uso positivo di Internet offre spunto per dedicare al tema una piccola guida.

La generazione Alpha, ovvero quella a cui appartengono i bambini nati tra il 2010 e il 2020, è la prima, vera nativa digitale.
Sono bimbi a proprio agio con la tecnologia sin dalla nascita, capaci di usare un touchscreen in maniera quasi istintiva. Sono anche i primi ‘nati sui social’, le cui foto sono state condivise sin dalla più tenera età (a volte sin dall’ecografia nella pancia della mamma). Si potrebbe dunque presumere che, in futuro, il loro rapporto con la privacy sarà molto disinvolto, e che forse distingueranno a malapena il confine tra pubblico e privato. Eppure, non è detto che sia così.

Secondo gli esperti “non è chiaro quello che sarà il rapporto con la privacy della generazione Alpha, perché molti small data filtrano dai profili dei genitori senza che i bambini ne abbiano consapevolezza, o senza che ne possano dare il consenso” sottolinea un rapporto realizzato dall’osservatorio di antropologia digitale BeUnsocial. È possibile che proprio loro, i figli del web, già online dal primo vagito, diventeranno adulti gelosi del loro privato? Questa e mille altre domande sorgono spontanee quando si parla di ‘sharentig‘, ovvero quel fenomeno relativamente recente che si riferisce ai genitori che postano continuamente foto dei figli – minorenni – sui social network. La parola è una contrazione di ‘share’ (condividere) e ‘parenting’ (genitorialità) e si riferisce non tanto alla pubblicazione di uno scatto qui e là, ma alla costante esibizione, alla ‘vetrinizzazione’ dei figli a mezzo social.

Cos’è lo sharenting e cosa implica

Basta fare un giro su Instagram, Facebook, Tik Tok per trovare tantissimi post di mamme e papà – ma soprattutto mamme, rilevano i primi studi al riguardo – che pubblicano foto e video della loro prole in quantità massicce, senza filtri, consegnando alla propria ‘bolla’ social momenti intimi e scatti rubati della quotidianità. Bambini che mangiano, che fanno il bagnetto, che giocano, che dormono, che cantano, che ballano, che si mettono le dita nel naso. Foto tenere, spesso buffe, che fanno letteralmente impazzire i followers (chi è così senza cuore da non mettere un like al pupo che gattona?), ma che portano con sé vari dubbi etici, e anche qualche preoccupazione.

Per parlare di sharenting occorre toccare molti tasti. Cominciamo dai numeri: secondo uno studio della Northumbria University, più dell’80% dei bambini britannici è presente online entro i due anni di vita. Prima del quinto anno di età un bambino ha circa 1500 foto sul web. Una ricerca commissionata da ParentZone sottolinea che il 32% dei genitori pubblica tra le 11 e le 20 foto del proprio figlio o figlia al mese. Il 28% di loro non si è mai posto il problema di chiedere ai figli il consenso. Tuttavia, quando questi bambini cresceranno potrebbero non gradire la loro presenza online, e soprattutto il modo in cui il genitore avrà narrato la loro vita. Una volta adulti, potrebbe essere difficile, se non impossibile, crearsi un’identità digitale propria, e usare i social come meglio credono. Ci sarà sempre una foto di loro sul vasino, o con le mani impiastricciate di marmellata. O, peggio, ci sarà sempre quel post in cui la mamma parlava di quel problema, o di quel momento importante. Questa narrazione, per quanto fatta con le migliori intenzioni, è destinata a rimanere per sempre appiccicata all’identità digitale dei futuri adulti. “Una volta in rete le informazioni, i video e le foto non solo diventano a disposizione di tutti ma non possono più essere eliminate del tutto; per questo un uso disfunzionale dei social può essere deleterio e pericoloso, per i genitori e per i figli” suggerisce la psichiatra Adelia Lucattini.

Il parere della psicoanalista

“Sebbene lo sharenting possa sembrare la semplice estensione social della classica abitudine dei genitori di mostrare album di foto, di parlare dei successi dei propri figli o di raccontare buffi aneddoti a parenti e amici, ci sono una serie di sfaccettature legate al pubblico dominio delle informazioni che lo rendono un fenomeno che necessita di particolare attenzione” spiega Lucattini. “Si posta tanto per bisogno di non perdere i ricordi, per l’angoscia del tempo che fugge, per la paura di dimenticare il primo sorriso. I genitori pubblicano per aiutarsi a ricordare la loro vita, i momenti belli” riflette la psicoanalista “dimenticando però che le immagini diventano di dominio pubblico, e non sono in grado di prevedere la reazione di chi le vedrà. L’intenzione è buona, il risultato potenzialmente pessimo. I figli purtroppo vedono molto spesso solo il risultato”.

Molti genitori si ritengono i legittimi ‘gestori’ della privacy dei figli, ma quando questi bambini diventano adolescenti possono desiderare di riaverla. Non a caso, cominciano a far notizia le prime causeintentate da figli verso i genitori che si rifiutano di rimuovere le loro foto da Facebook. Il New York Times ha chiesto ad alcuni ragazzi di confrontare le proprie mamme su questo argomento in un divertente ma emblematico video: nessuna di loro, inizialmente, si rendeva conto di quale fosse il problema.

“I social ci hanno portato alla sovraesposizione mediatica, ma un conto è sovraesporre sé stessi, un altro è farlo con terzi. I bambini spesso non sanno che loro immagini riservate sono state postate dai genitori, quando poi ne diventano consapevoli potrebbero sentire violata la loro intimità. Occhi indiscreti hanno la possibilità di scrutare nel loro privato, e non è difficile immaginare che possano provare vergogna. Questo potrebbe influire sulla relazione coi genitori stessi e rendere difficile un rapporto sereno ed equilibrato con loro. Ed è la migliore delle ipotesi” sottolinea la psicoanalista “perché significa che il processo di differenziazione dai genitori, necessario per lo sviluppo dei bambini, sta avvenendo, stanno crescendo e diventando adolescenti consapevoli, sufficientemente strutturati e forti da potersi opporre e ribellare.”

E nel peggiore dei casi? “Il problema è chela vetrinizzazione dei figli può dar vita allo sviluppo di un Falso Sé. Ovvero una personalità difensiva, da offrire agli altri. Non nel senso di ingannevole, ma di personalità non propriamente autentica, che il bambino crea inconsciamente per proteggere il vero Sé. Il Falso Sé è una difesa della mente per proteggere l’intimità, gli aspetti emotivi inconsci. Ma spesso chi ce l’ha non lo sa. Questi ragazzi saranno adulti che avranno prima o poi bisogno di fare un’analisi. Spesso sono quegli adolescenti ‘depressi’ che i genitori vedono ‘tranquilli’, ma in realtà stanno solo vedendo il loro Falso Sé. Prima era un fenomeno legato a dinamiche famigliari o traumi, ora è un fenomeno causato anche dalla perdita del confine tra intra e extra famigliare, tra pubblico e privato”.

Secondo Alice Avallone, ricercatrice dell’osservatorio BeUnsocial

“Le madri, in particolare le neomamme, sono più portate alla condivisione della propria esperienza genitoriale a causa di tutti i diversi tipi di cambiamenti che vivono – cambiamenti fisici, cambiamenti nello stile di vita, cambiamenti emotivi: il diventare madre si fa terreno di racconto via via che il parto si avvicina, e continua spesso inevitabilmente anche dopo il primo vagito. Qui entra in gioco anche il desiderio di essere – e di essere viste – come una buona madre, uno dei motivi principali poi per condividere i propri figli anche al di fuori della cerchia di parenti e amici più ristretta”.

“Più in generale” prosegue Avallone, “a differenza della generazione precedente, i Millennial vivono le loro relazioni con i figli pensando a un doppio obiettivo: essere genitori, ed essere amici. Vogliono essere genitori migliori rispetto ai propri, che erano meno educati a esprimere i sentimenti e la vicinanza emotiva”.

La questione del rischio

Nel 2016 la Commissione Europea si è dotata di un Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati, uno strumento che rafforza la protezione dei dati personali dei cittadini dell’Unione, entrato in vigore nel 2018. L’art.8 del regolamento prevede che il trattamento dei dati di soggetti minori di 16 anni (ma ogni stato membro può abbassare la soglia fino a 13 anni) debba avere il consenso del titolare della responsabilità genitoriale. Tuttavia, fa notare uno studio, attribuire la sicurezza online dei bambini ai genitori non è sempre una garanzia, perché spesso sono i primi a metterla a repentaglio a causa della loro ‘incompetenza digitale’. Ed è proprio questa scarsa dimestichezza con la rete che rende il fenomeno dello ‘sharenting’ pericoloso.

Mettendo da parte il dilemma etico, lo sharenting solleva un’altra questione, molto più preoccupante. Esistono dei veri e propri rischi per la sicurezza che i genitori devono imparare a conoscere. Glamour riporta la storia (anzi, più di una) di mamme che, per caso, hanno ritrovato le foto delle figlie e dei figli condivise da account di sconosciuti che postano sulle loro pagine solo immagini di bambini rubate dai social. Ad alcune madri è toccato leggere con i loro occhi i commenti osceni che venivano rivolti in queste pagine alle loro bambine. E se le testimonianze dei genitori non fossero sufficientemente allarmanti, un’indagine del dipartimento australiano dedicato alla sicurezza dei minori ha rivelato che la metà del materiale ritrovato in siti di pedofili proviene da immagini e video pubblicati da genitori sui social. Alastair MacGibbon, capo del dipartimento Children’s eSafety, racconta di aver trovato su siti web pedopornografici milioni di foto di bambini intenti a svolgere innocue attività quotidiane, dall’attività fisica ai compiti.

Secondo un report realizzato dal C.S. Mott Children’s Hospital del Michigan, i genitori pubblicano con ingenuità una cospicua dose di informazioni private, senza rendersene conto. Non solo foto imbarazzanti, ma immagini che permettono di identificare con facilità nomi e cognomi, date di nascita, località, indirizzo di casa e scuola. Questo porta non solo ad un’esposizione al rischio di adescamento, ma anche ad una vulnerabilità rispetto al furto di identità. Uno studio condotto da Barclays sottolinea che lo sharenting potrebbe diventare un enorme veicolo di frodi telematiche entro il 2030: la facilità con cui si può risalire alle informazioni personali di un undicenne di oggi (inclusi nomi dei genitori, dell’animale domestico – un classico della domanda segreta di tutti gli account), renderanno semplicissimo rubargli i dati sensibili quando avrà 20 anni e un conto in banca.

Consigli per i genitori

Secondo un’indagine della London School of Economics i bambini nativi digitali capiscono benissimo il concetto di privacy, e crescendo il loro desiderio di mantenerla aumenta. E comprendono, spesso più delle loro mamme e papà, i rischi per le identità digitali non adeguatamente tutelate. I genitori che propendono per lo sharenting hanno spesso una scarsa cultura digitale, non impostano filtri per la privacy, e se lo fanno non li controllano periodicamente (le policy dei social si aggiornano di frequente, e quello che è privato oggi potrebbe non esserlo più domani), non controllano chi sono i loro followers. Non sanno che le foto, una volta messe online, smettono di essere controllabili.

In un approfondito articolo dell’Università della Florida che affronta il tema dello sharenting da un punto di vista legale (si domanda, cioè, dove finisca il diritto di espressione del genitore e dove inizi il diritto alla privacy del bambino per la legge), si propongono alcune linee guida per assicurarsi che la condivisione social delle immagini del minore sia fatta in modo da tutelarlo. Eccole:

1. Bisogna prendere confidenza con le policydei siti su cui condividono informazioni e immagini. Alcuni social offrono opzioni di privacy specifiche, che consentono, per esempio, di condividere alcuni contenuti solo con certi utenti, oppure contemplano la possibilità di non essere intercettati dagli algoritmi di Google.
2. Si devono impostare sistemi di notificache avvertano quando il nome dei figli appare tra le ricerche Google.
3. I genitori devono considerare quando è il caso di postare le loro storie in modo anonimo. Se, per esempio, hanno bisogno di confronto perché hanno dei problemi con i figli, è meglio che si rivolgano a piattaforme dove si riesce a mantenere un po’ di anonimato, perché questi problemi non finiscano in pubblica piazza, potenzialmente danneggiando la reputazione futura del ragazzo. Ad esempio, parlare di problemi psicologici di un adolescente può implicare che, nel giro di pochi anni, un datore di lavoro li potrà conoscere.
4. Non bisogna mai rendere pubblica la localizzazione dei minori. Si deve non solo evitare di menzionare esplicitamente dove si trovano, ma disattivare i propri servizi di geo-localizzazione quando si posta un contenuto social.
5. I genitori dovrebbero dare ai figli il potere di veto per quanto riguarda la condivisione delle loro foto, ma anche di racconti di vita.
6. Mamme e papà devono assolutamente evitare di pubblicare immagini in cui i bambini sono svestiti, anche se neonati.
7. I genitori devono sempre considerare gli effetti di quello che pubblicano, presenti e futuri, sul benessere del bambino. Un giorno saranno ragazzi e adulti che si dovranno confrontare con tutto ciò che i genitori hanno messo online.

(Fonte bit.ly/3Fjid4t)

 

Share your thoughtsPlease do not use offensive vocabulary.

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *