L’Ineffabile Melanconia della Pucundria 13 Marzo 2024 – Posted in: Modi di dire, Parole – Tags: , , , , , , , , , , , ,

A’ Pucundria: Un Viaggio nel Cuore Napoletano

Nel cuore pulsante di Napoli, tra i vicoli che raccontano storie secolari e il suono di una chitarra che si perde nella notte, si cela un termine carico di un’emozione profonda e complessa: “a’pucundria”.
Questa parola, che echeggia attraverso le melodie struggenti di Pino Daniele, porta con sé l’eco di una malinconia inesprimibile, un sentimento che affonda le radici nella cultura greca e che, nonostante il passare dei secoli, rimane indefinibile.
La “Pucundria” non è solo una parola; è un universo di sensazioni, un intreccio di emozioni che vanno ben oltre la mera malinconia. È lo specchio di un’anima napoletana che, nel suo dialetto ricco e vibrante, riesce a esprimere concetti che la lingua italiana fatica a catturare.
Questo termine racchiude una tristezza profonda, ma anche la noia, l’insoddisfazione, e quella solitudine che solo chi ha vissuto intensamente può comprendere.
Chi cerca di avvicinarsi al significato di “Pucundria” si trova davanti a un orizzonte di sentimenti indefinibili, similmente alla saudade portoghese o alla Sehnsucht tedesca.
Questo malessere dell’anima, dolce e doloroso al contempo, nasconde un desiderio struggente per qualcosa che sembra irraggiungibile, un senso di incompletezza che accompagna ogni respiro, ogni sguardo verso il mare che bagna la città.
La magia della “Pucundria” è stata immortalata da Pino Daniele, il cui album “Nero a metà” del 1980 include una canzone dedicata a questa sensazione così intricata.
Con la sua chitarra, Daniele ha saputo toccare le corde dell’anima, facendo risuonare quel sentimento malinconico che vive in ogni angolo di Napoli.
Gli antichi greci credevano che la tristezza nascesse in un punto specifico del corpo, tra lo sterno e l’addome, influenzando sia la mente che lo spirito.
Questa visione, che unisce il fisico al metafisico, ha dato origine al termine “ypochondrios”, da cui deriva la nostra “ipocondria”. Tuttavia, la “Pucundria” conserva una dimensione più esistenziale e spirituale, lontana dalle preoccupazioni mediche, radicata nell’essenza stessa dell’essere.
Nel dialetto napoletano, la “Pucundria” non è solo una parola ma un canto dell’anima, una confessione di quel malessere che tutti, in qualche modo, portiamo dentro.
È un richiamo all’ascolto, un invito a immergersi nelle profondità dell’esistenza con la consapevolezza che, in fondo, ogni cuore nasconde un angolo segreto dove la malinconia e la bellezza si incontrano e si fondono, in un abbraccio che solo Napoli sa offrire.
Allora, lasciamoci cullare dalle note di “Appocundria”, lasciamo che questo termine inafferrabile ci guidi attraverso le strade di una città che vive e respira attraverso le sue contraddizioni, il suo dolore, la sua indomabile gioia.
Perché è solo attraversando la malinconia di a’pucundria che possiamo davvero capire l’anima di Napoli, una città dove ogni pietra, ogni onda del mare, ogni nota musicale sussurra storie di amore, di perdita, e di ritrovata speranza.
È questa appocundria, nutrita di fatalistica accettazione delle sorti della vita, segnata da una noia esistenziale e venata di scettico ma malinconico distacco per qualcosa di indefinibile che non è, non è stato e non è potuto essere, che si fa cifra di un sentire tutto napoletano nella canzone omonima di Pino Daniele (in Nero a metà, EMI, 1980):
«Appocundria me scoppia / ogne minuto ‘mpietto /peccè passanno forte / haje sconcecato ‘o lietto /appocundria ‘e chi è sazio / e dice ca è diuno /appocundria ‘e nisciuno… / Appocundria ‘e nisciuno».

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