ANTHONY HARDY – LO SQUARTATORE DI CAMDEN 12 Marzo 2021 – Posted in: Biografie

ANTHONY HARDY – LO SQUARTATORE DI CAMDEN

Londra non solo possiede un certo fascino dark senza tempo, ma si presta perfettamente come ambientazione

a quella tipologia di serial killer denominati “squartatori”. Il caso di stasera parla di Anthony John Hardy.

Nasce il 31 maggio 1951 a Burton Upon Trent, città sul fiume Trent nell’East Staffordshire, prossima al confine con Derbyshire, nel Regno Unito.

La sua è un’infanzia apparentemente ineccepibile, senza ombre nè segni premonitori, con eccellenti risultati negli studi che gli permettono, nonostante le umili origini (in quanto figlio di un minatore), di conquistare con successo un posto da studente all’ambito Imperial College di Londra, dove consegue una laurea in ingegneria meccanica.

Dopo la brillante carriera di studi, Hardy trova impiego come responsabile in una grande impresa in Inghilterra.

Padre di 4 figli, ha alle spalle un matrimonio con Judith Dwight, la donna che per prima lancerà pesanti accuse all’indirizzo del serial killer. Con quest’ultima si sposa nel 1972 e il matrimonio è interrotto dal divorzio, formalizzato nel 1986, scaturito da presunti atti di violenza domestica contestati dalla Dwight.

Pochi anni prima, nel 1982, Hardy viene incriminato per il tentato omicidio della moglie, in Tasmania (dove si è trasferito da tempo con la famiglia).

Le accuse a suo carico, tra cui la più grave è quella di aver tentato di annegare la consorte nella vasca da bagno, dopo averla colpita violentemente alla testa con una bottiglia, però, cadono per insufficienza di prove e viene definitivamente scagionato.

Dopo la conclusione della vicenda giudiziaria, prima viene curato in un famoso ospedale psichiatrico del Queensland australiano, poi fa ritorno, da solo, in Inghilterra.

Il divorzio del 1986 costituisce per Hardy lo spartiacque ufficiale tra una personalità apparentemente “normale” e un’identità profondamente segnata da un disturbo bipolare conclamato che lo porta in breve tempo, nel volgere di pochi anni dopo la fine del matrimonio, a continui ricoveri in diversi ospedali psichiatrici.

Il ritorno della ex moglie e dei figli in Inghilterra segna l’inizio di una serie di atti persecutori e molestie che costringono le autorità inglesi a emettere un’ordinanza restrittiva nei confronti dell’uomo, cui segue l’arresto per violazione del dispositivo. Successivamente scarcerato, torna in cura per gli ormai sempre più gravi disturbi di personalità.

Terminato il secondo ricovero e perso definitivamente il lavoro, Anthony Hardy intraprende una vita da uomo di strada, fatta di stenti e contrassegnata da una inarrestabile caduta nel vortice dell’abuso di alcol e droghe che contribuirà a farlo ammalare di diabete.

Tra il 1998 e il 2000 Hardy colleziona 3 accuse di stupro, mosse da altrettante prostitute, cui però non segue alcuna incriminazione.

All’uomo viene somministrato un trattamento terapeutico in un’altra clinica psichiatrica, prima di trovare una residenza più o meno stabile in un alloggio popolare a Camden, un quartiere londinese noto per i suoi mercati (Camden Market).

Sarà l’inizio una caduta libera che porterà al tragico e sanguinario epilogo omicidiario di un profilo criminale sino ad allora legato a reati di natura minore.

È il 17 dicembre 2000 quando un passante scorge il corpo di una donna, sezionato in due parti, a galla nel fiume Tamigi.

Passano pochi giorni e le autorità arrivano a dare un nome alla vittima: si tratta di Zoe Louise Parker, prostituta 24enne. Per quella morte non si trova la firma dell’assassino, che resta, di fatto, impunito.

Poco più tardi, nel febbraio 2001, tre minorenni trovano un sacchetto incastrato nella folta vegetazione lungo le sponde del Regent’s Canal di Camden. Dopo averlo aperto, la macabra scoperta: al suo interno i resti di un cadavere fatto a pezzi.

Seguiranno intense operazioni di ricerca in quel tratto di fiume, con sessioni di dragaggio che portano gli inquirenti a scoprire altre 6 buste che contengono, come in un mosaico dell’orrore, le parti mancanti di quel corpo mutilato che si scoprirà appartenere a Paula Fields, 31 anni, prostituta con problemi di droga, originaria di Liverpool e da due anni a Londra, madre di 2 bambini.

Per questo brutale omicidio, i primi sospetti ricadono sull’ex fidanzato della donna, con rilevanti precedenti penali che però, da soli, non sono sufficienti a stabilirne con certezza i contorni di assassino. Il caso rimane aperto, senza precisi indizi sull’identità del killer.

Il 20 gennaio 2002, un anno dopo l’irrisolta morte delle due prostitute, un vicino di casa di Anthony Hardy segnala alla polizia che l’uomo ha versato dell’acido da batteria nella sua cassetta delle lettere. Giunti sul posto, gli agenti si dirigono verso l’appartamento di Hardy che, addobbato come un tempio satanista, attira da subito le attenzioni dei poliziotti.

L’uomo nega di poter aprire la porta della camera da letto, della quale sostiene di aver smarrito la chiave. Ma gli agenti la abbattono, scoprendo qualcosa di sconcertante: all’interno il cadavere di una donna, identificata in seguito come Sally Rose White, prostituta 38enne tossicodipendente.

Sul corpo della vittima, diverse escoriazioni, i segni di alcuni morsi e una profonda ferita alla testa.

Anthony Hardy viene arrestato, senza però subire una condanna per omicidio: l’esame autoptico sul corpo della donna descriverà un infarto come causa del decesso, sollevando di fatto Hardy da ogni presunta responsabilità. Le autorità dispongono che l’uomo, comunque, venga inserito in una struttura sanitaria a St. Luke per accertamenti sulla sua salute mentale.

Ne consegue una diagnosi di “pericolosità” sociale tale per cui il dottor Alan Stuart-Reid, che si occupa del caso clinico di Hardy, sollecita che l’uomo venga internato. Ma si tratta di un parere medico del tutto inutile a incastrare il profilo di Hardy in quello di un potenziale assassino, tanto che nel novembre 2002 avviene il suo rilascio definitivo.

È il 30 dicembre 2002: un clochard rovista in un cassonetto in Royal College Street (quartiere di Camden) e si imbatte in un sacco che attira la sua curiosità. All’interno, quel che rimane di un corpo di donna.

Il senzatetto porta la busta in ospedale, e la successiva segnalazione alla polizia permette una battuta di ricerche nell’intera area, con il conseguente ritrovamento di altre 8 buste contenenti pezzi di gambe e metà torso di due diverse donne.

In un altro cassonetto, a un centinaio di metri dal luogo della prima scoperta, l’altra metà del torso femminile, un braccio destro, uno sinistro, un piede.

 

Le indagini portano con celerità ad Anthony Hardy, aprendo il sipario su uno scenario inquietante. L’uomo risulta scomparso da diversi giorni, ma i vicini segnalano che a ridosso del Natale il forte rumore di una sega elettrica li aveva tenuti spesso svegli.

La polizia abbatte la porta dell’abitazione, trovando l’appartamento completamente sporco di sangue, in soggiorno una sega elettrica con la lama incrostata di carne e ossa. Centinaia di riviste pornografiche, una scarpa con tacco a spillo e un torso di donna infilato nel contenitore della spazzatura fanno da corollario a una scena senza precedenti.

La caccia all’uomo scatta immediatamente, forte del fatto che il diabete di Hardy, prima o poi, lo costringerà giocoforza a necessitare di un supporto sanitario.

Effettivamente, il 1° gennaio 2003 Hardy chiede dei farmaci in un pronto soccorso. Riesce, però, a dileguarsi poco prima dell’arrivo di una pattuglia, ma senza medicinali.

Costretto a riprovare, il giorno seguente si reca al Great Ormond Hospital, dove viene arrestato: l’incubo dello “Squartatore di Camden” termina così il 2 gennaio 2003.

Seguono indagini serrate per risalire all’identità delle due donne uccise e fatte a pezzi: l’impresa si rivela piuttosto ardua in quanto il killer ha fatto sparire la testa e le mani di entrambe.

Saranno i numeri di serie nelle protesi al silicone nei seni di una delle vittime a fornire il chiaro indirizzo verso la risoluzione del giallo intorno a una delle due. La scientifica arriva così a identificare Elizabeth Selina Valad, 29 anni, finita nel tunnel della droga e della prostituzione dopo alcune vicende personali travagliate.

I resti della seconda donna rinvenuti nel cassonetto vengono identificati grazie al test del DNA: riconducono a Brigitte McClennan, 34 anni, prostituta.

Hardy confessa i due omicidi e quello di Sally White, il cui decesso, in prima battuta, era stato attribuito a un infarto.

La confessione contiene anche una descrizione della dinamica: l’assassino seriale dichiara di averle strangolate dopo un rapporto sessuale, in seguito di averle fotografate con addosso calzini da uomo, un berretto da baseball, una maschera da diavolo e un vibratore inserito in vagina.

È il resoconto senza filtri di crimini agghiaccianti, dei quali vengono reperiti i negativi di 44 scatti, inviati preventivamente a un amico dallo stesso Hardy, quasi a preservare una memoria tangibile degli orrori commessi.

Nel novembre 2003 si apre il processo a carico di John Anthony Hardy, l’uomo che per tutti ormai, in Inghilterra, è stato etichettato con il macabro soprannome di The Camden Ripper.

In aula emergono ulteriori dettagli sui delitti: le vittime, dopo le fotografie scattate post mortem, sono state fatte a pezzi con la motosega nella vasca da bagno, poi gettate nella spazzatura.

Secondo le ricostruzioni investigative, è verosimile che al momento dell’irruzione degli agenti nell’abitazione di Hardy, cui è seguito il ritrovamento di Sally White, il serial killer fosse in procinto di fotografarla in pose oscene.

Nonostante il mancato ritrovamento dei pezzi mancanti dei corpi mutilati di tutte le donne, il 14 maggio 2010 Hardy viene condannato a 3 ergastoli, pena che sta tuttora scontando e continuerà a scontare fino alla morte: il suo è uno dei rari casi inglesi in cui il condannato non uscirà mai più dalla prigione.

Le analogie tra gli omicidi compiuti e quelli a lui non ascritti (di Zoe Parker e Paula Fields) sono tali da far pendere l’opinione pubblica in direzione di un’unica mano assassina, ma nessuna evidenza giudiziaria ha permesso di dichiarare Hardy colpevole anche di questi due omicidi.

 

(Fonte immagini e storia scritta per intero da LaTelaNera)