PUNTEGGIATURA (INTERPUNZIONE) : IL PUNTO 28 Maggio 2021 – Posted in: Grammatica – Tags:

La punteggiatura o interpunzione indica le pause del discorso mediante segni grafici

(la virgola, il punto, il punto e virgola, i due punti, il punto interrogativo, il punto esclamativo, i puntini di sospensione, le lineette, le parentesi, le virgolette), la cui collocazione risponde ad una esigenza pratica di chiarezza logica e, al tempo stesso, ha valore espressivo (ad esempio, quando si desidera porre in evidenza una parte della frase, oppure quando si vuole creare un senso di attesa).

La punteggiatura regola l’articolazione del pensiero; essa sottolinea in modo visibile le relazioni sintattiche (cioè il loro corretto rapporto) tra le componenti del discorso, organizzando quest’ultimo in una gerarchia di unità logiche di maggiore o di minore importanza; traduce nella lingua scritta la dinamica del discorso parlato (come, ad esempio, avviene per gli scrittori che tentano di conferire maggiore verosimiglianza ai dialoghi). La punteggiatura può variare nelle sue forme in base all’autore del testo e rappresentare un elemento stilistico; tuttavia, in base all’uso ed alle convenzioni che ne sono seguite, se ne possono fissare le norme e le costanti. Quindi, l’uniformità nell’impiego dei segni d’interpunzione ha reso possibile l’individuazione di una punteggiatura “logica”, la cui funzione non va sottovalutata, poiché rappresenta il collante che garantisce la coerenza e la fruibilità della comunicazione.

Le discussioni che si sono fatte sulla punteggiatura, dalla fine del secolo XIX ai giorni nostri, vertono sull’opportunità di rendere parsimonioso e regolato l’impiego dei segni. L’uso stilistico di essi è sembrato a numerosi trattatisti una minaccia alla stabilità delle regole di punteggiatura, mentre la concezione di una punteggiatura rigorosamente logica incontrava ostacoli a volte insormontabili. Contro la tendenza ad un contemperamento tra punteggiatura logica e punteggiatura stilistica, D’Ovidio obiettava che ne sarebbero conseguite incertezze e perplessità per scrittori e lettori. Come esempio di perfetta interpunzione, alcuni trattatisti propongono ancora oggi passi di Carducci che propendeva, non senza oscillazioni, per una punteggiatura misurata. L’odierna tendenza alla semplificazione della punteggiatura corrisponde allo svincolarsi dell’espressione dalle strutture logiche e sintattiche e dal ritmo della prosa ottocentesca. Francesco Flora annota che “i moderni tendono con ragione a diradare i troppi segni di interpunzione. Ma sono anche capaci di abolirli affatto, talvolta per eccesso di raffinatezza, talvolta per manifesta ignoranza.”

IL PUNTO

Nella prosa recente, soprattutto giornalistica, ma anche letteraria, si può constatare una proliferazione dell’uso del punto, una volta chiamato “punto fermo“. Quasi sempre si tratta di un utilizzo che mira ad enfatizzare un concetto, in modo da rendere la scrittura più espressiva, più diretta ed incisiva. In alcuni casi, inoltre, il punto consente di semplificare le frasi molto articolate, magari inserendolo dopo una congiunzione avversativa come “ma”. In altre circostanze, però, il suo abuso sembra evidenziare una sorta di scappatoia, un modo per trarsi d’impaccio quando non si sa bene che segno di interpunzione adottare. Quando l’uso del punto non risulta pienamente giustificato, oltre a palesare una scarsa padronanza della lingua, si corre il rischio di rendere la prosa sincopata, di conferirle un ritmo ansiogeno, eccessivamente serrato. Di conseguenza, è bene orientarsi ad un utilizzo appropriato, tenendo ben presente la funzione del punto, che è quella di separare concetti logicamente ben distinti.

Ecco alcuni esempi di prosa. Uso eccessivo, nel caso in cui la finalità non sia di natura espressiva: “Mangiai tutte le frittelle. Ma non avevo fame. Perché avevo cenato poco prima. Forse ero soltanto nervoso.
La stessa frase risulta più scorrevole se scritta così: “Mangiai tutte le frittelle, ma non avevo fame perché avevo cenato poco prima; forse ero soltanto nervoso” (in questo caso si potrebbe fare ricorso, in alternativa, al punto “. Forse ero soltanto nervoso“). Poiché non si tratta di un periodo (?) molto lungo o articolato, la narrazione appare più scorrevole evitando il punto; inoltre, l’uso delle virgole e del punto e virgola segnalano al lettore che le frasi fanno parte di una singola unità logica.

Il punto (.) segna la pausa più lunga del discorso e si mette alla fine d’un periodo per significare che quanto è stato detto ha un senso compiuto. Esempio: “È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie novelle.” (L. Pirandello).

Il punto può essere posto nei seguenti casi.

  • Alla fine di una sola parola che costituisce periodo a sé: ad esempio, Vivere.
  • Alla fine di un lungo periodo comprendente varie proposizioni (?): ad esempio, “Sulla riva c’era soltanto padron ‘Ntoni, per quel carico di lupini che ci aveva in mare colla Provvidenza e suo figlio Bastianazzo per giunta, e il figlio della Locca, il quale non aveva nulla da perdere lui, e in mare non ci aveva altro che suo fratello Menico, nella barca dei lupini.” (da “I Malavoglia” di G. Verga).

Va comunque sottolineato che la frequenza o la rarità del punto fermo nella pagina di un autore (attenzione, in questo caso si parla di professionisti della scrittura) è un segno del suo stile e della sua personalità. Il periodare spezzettato con molti punti fermi indica un ritmo del pensiero veloce e sintetico. Il periodare disteso, con ampie e solide architetture sintattiche, indica una meditazione più lenta, uno spirito di osservazione più ricco e meticoloso, una elaborazione più ponderata.

Si consideri, ad esempio, il seguente periodo d’ampio respiro: “Piazza Santa Maria in Vado gli si era aperta a un tratto dinanzi come un mare di nebbia: con la scura facciata della chiesa da un lato, il buio varco aperto sui bastioni di fronte, al centro la fontanella assediata di donnette parlottanti, povere bottegucce e casupole tutto attorno da cui sortivano, insieme con deboli luci e odori di caldarroste e castagnacci – gli odori dell’infanzia! – suoni lievi e sparsi: un’ incudine battuta senza forza; un pianto sommesso di bambino; un “buona sera!”, e un “a domani”, scambiati in fondo a un invisibile portico, fra due uomini di età; un tintinnìo di bicchieri…”. (da “Gli ultimi anni di Clelia Trotti” di Giorgio Bassani).

Ecco invece esempi di periodi (?) brevi continuamente interrotti dal punto fermo: “La musica è la fusione delle altre arti. Essa costruisce, scolpisce e dipinge tutte le fantasie della nostra realtà quotidiana. Del resto tutte le arti tendono alla musicalità. L’architettura è armonia di linee. La scultura è armonia di forme. La pittura è armonia di colori. La musica è l’argentea scala, azzurra di violini e fiammeggiante di trombe, che poggiando sull’estremo lembo della terra ci offre l’ascesa alle stelle.” (N. Salvaneschi).

Si possono distinguere il punto di seguito e il punto a capo. Dopo il primo, si continua a scrivere sulla stessa riga, implicando il fatto che si continuerà a trattare lo stesso argomento; dopo il secondo, si va a capo, implicando che la trattazione passerà ad un argomento o ad un sottoargomento diverso. Se si volesse distinguere maggiormente il nuovo periodo, si dovrebbe andare a capo, lasciando un maggiore spazio prima della parola, nell’allineamente normale.

Il punto di norma non si usa:

  • nelle didascalie;
  • nelle iscrizioni;
  • nelle misure fisiche (m = metro, l = litro, kg = chilogrammo);
  • nei simboli chimici (H = idrògeno, Mn = manganése);
  • nelle targhe automobilistiche (TO = Torino, FI = Firenze).
  • nei titoli dei libri, dei giornali, ecc..

Il punto nelle abbreviazioni e nelle sigle

Nell’uso comune si ricorre spesso alle abbreviazioni ed alle sigle. Le abbreviazioni sono parole abbreviate (dott. = dottore); le sigle sono invece le iniziali di parole che formano il titolo di un ente, di un partito, di una associazione (CRI = Croce Rossa Italiana) o simili.

Esistono due tipi di abbreviazione: per troncamento e per sincope o contrazione. Il troncamento avviene mediante l’eliminazione della parte finale di una parola. Di solito termina con una consonante e non coincide con la divisione in sillabe, come accade con i titoli professionali ed onorifici (dott., prof., avv., ing., geom., rag., cav., comm.), ed in svariate espressioni convenzionali: op.cit. (opera citata); ecc. (eccetera).
Comunque, esistono casi che non seguono questa regola, in cui l’abbreviatura può consistere di una sola letterap. (pagina); v. (verso).

Dopo il punto di un’abbreviazione non si usa la maiuscola (sempre che l’abbreviazione non concluda il periodo).

Inoltre, non si mette il punto di chiusura se l’abbreviazione si trova alla fine del periodo: non va scritto “L’imperatore Caligola venne ucciso da una congiura nel 41 d. C..”, ma si deve scrivere “L’imperatore Caligola venne ucciso da una congiura nel 41 d. C.”.

Prima di ecc., l’uso della virgola è facoltativo: ad esempio, “I giovani praticano molti sport: il calcio, il nuoto, ecc.”, oppure “I giovani praticano molti sport: il calcio, il nuoto ecc.“. Entrambe le frasi sono corrette.

L’abbreviazione per contrazione avviene mediante l’eliminazione della parte centrale di una parola: ad esempio, jr (junior), sr (senior), dr (dal latino doctor, ‘dottore’), cfr (dal latino confer, “confronta”), ecc.
Nelle abbreviazioni per contrazione non bisogna mettere il punto. Il punto si mette soltanto quando indica la mancanza di lettere finali e non quelle centrali. A meno che l’abbreviazione non si trovi alla fine di un periodo (?) chiuso dal punto.

All’interno dell’abbreviatura il punto segnala una contrazione della parola, di cui si conservano le lettere iniziali e finali: ad esempio, ill.mo (illustrissimo); chiar.mo (chiarissimo); f.lli (fratelli).

Per ottenere il femminile di un nome mobile occorre aggiungere all’abbreviazione la parte finale della parola:

–   prof. (professore), prof.ssa (professoressa);
–   sig. (signore), sig.ra (signora), sig.na (signorina).

La forma plurale è consentita solo nelle abbreviazioni per troncamento e si ottiene sei seguenti modi.

–   Raddoppiando la consonante finale, se l’abbreviazione è formata da più lettere: ad esempio, pag./pagg. (pagina/-e); art./artt. (articolo/-i); cap./capp. (capitolo/-i); vol./voll. (volume/-i); prof./proff. (professore/-i).

–   Raddoppiando la sola lettera che costituisce l’abbreviatura: ad esempio, p./pp. (pagina/-e); v./vv. (verso-i).

–   Aggiungendo la parte finale della parola se l’abbreviazione termina con consonante doppia: ad esempio, avv./avv.ti/avv.sse (avvocato-i/avvocatesse); dott./dott.ri/dott.sse (dottore-i/dottoresse).

Il punto si pone anche tra le lettere di una sigla (O.N.U., O.E.C.E., C.G.I.L., N.A.T.O.), quando ciascuna lettera corrisponde all’iniziale di altrettante parole scritte per esteso; invece, quando tale stretta corrispondenza non esiste, le lettere si succedono senza interpunzione.

Esistono casi che non rispettano questa regola: alcune sigle, infatti, sono diventate così comuni da contenere anche lettere minuscole; ad esempio, C.d.A. (Corte d’Appello, Corte d’Assise), G.d.F. (Guardia di Finanza), S.p.A. (Società per Azioni), S.r.l. (Società a responsabilità limitata). Altre sigle hanno finito per assumere il carattere di parole vere e proprie: ad esempio, Agip (Azienda generale italiana petroli), Fiat (Fabbrica italiana automobili Torino), Rai (Radio audizioni italiane). Alcune sigle si possono scrivere anche senza il punto: ad esempio, ITIS (Istituto Tecnico Industriale Statale), IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), UCI (Unione Ciclistica Internazionale).

 

(Fonte https://grammatica-italiana.dossier.net/punteggiatura.htm)