Da Raffaello ad Adam Braun 16 Gennaio 2021 – Posted in: Momenti

Dalla Scuola di Atene di Raffaello fino ad arrivare al Settecento con Adam Braum: una carrellata di punizioni nella storia dell’arte per… sorridere e pensare tra esortazioni e correzioni.

La pausa Covid consente qualche digressione come quella che qui segue, e della quale il lettore mi perdonerà. Quest’anno la smagliante mostra di Raffello, curata luminosamente dall’amica Marzia Faietti, non soltanto mi ha dato l’occasione di ripeterne il percorso con persone alquanto interessate, ma mi ha concesso pure il ritorno per ripetute visite alle Stanze Vaticane. E qui, davanti alla “Scuola di Atene”, mi è rispuntata in mente l’insidia dei particolari, lo stimolo del trapanino di ricerca su angoli sperduti della monumentale amplitudine scenica, degna davvero di una grand-opéra, entro la quale il giovane urbinate fa muovere le masse corali dei filosofi e dei geni come in una entelechìa suprema del più alto sapere.

Ecco il mio interrogativo: che cosa fanno quei nudi agitati sotto il languido ancheggio di Apollo che attende un plauso di Muse per il canto poetico che ha appena emanato? Attenzione: vediamo che i due tenui monocromi del dio Pizio e di Athena, posti da Raffaello a tutelare i pensieri dei Saggi, stanno là sulle pareti nelle nicchie rispettive. I due Numi appaiono al di sopra di riquadrature marmoree che portano alcune figure di non facile decrittazione, sulle quali i critici non hanno voluto porgere chiare parole rivelatrici. Un solo breve passaggio di testo disse una volta che dovrebbe trattarsi di “antinomìe”: ovvero sotto l’Athena armatissima si potrebbe cogliere un invito alla pace, e sotto il lirico Apollo musagete, tutto votato alle arti armoniose, si è chiamati a vedere la perversità delle violenze e l’opportunità di conculcarle. Una piccola chiave che mi ha spinto ad approfondire quest’ultimo quadro, il quale ad evidenza pare sia tratto, o ispirato, da un antico marmo romano. I nudi maschili sono cinque, e inoltre vi si vede l’urlo femminile di protesta. Il protagonista, dotato di un breve randello seghettato (così pare) sta battendo un individuo già caduto a terra riverso; giacché si tratta di nudi potremmo convenire all’idea che si tratti di uno scontro di carattere ideale-simbolico al quale fa da centro la decisa punizione di un vinto. Anche i due nudi sulla sinistra stanno ritirandosi, mentre la donna si oppone a chi vuole usare le armi e la prepotenza. Se colleghiamo la scena della lotta con quella sottostante che mostra il tentativo di violenza di un tritone nei confronti di una ninfa sfuggente, il concetto (tutto rinascimentale) della “punizione dei sensi” ci appare quantomai plausibile.
La tesi diventa particolarmente rafforzata da un’analoga scena, sempre in finto altorilievo marmoreo, che Tiziano pochi anni dopo appone sul fronte della “vasca d’amore” laddove egualmente vi è un bruto punito per un tentativo sessuale, come dimostra la donna nuda e invocante sullo sfondo. In questo caso i colpi della schioccante esecuzione vengono diretti esattamente sul sedere del reo. Tale parte del corpo, che i nostri avi indicavano come “priva di cervello”, diventa dunque simbolica degli istinti, ma pur capace di ricevere e trasmettere friggenti sensazioni.

La nostra attenzione si sposta ora, abbastanza necessariamente, sulle formalità delle punizioni presso i latini. Corporalmente esse erano riservate ai maschi. In ambito militare erano crudeli, e non ce ne curiamo. In ambito civile, se prescindiamo dagli schiavi, pare dai documenti iconografici che non venissero applicate ai cives, ma sempre e frequentemente ai pre-adolescenti e agli adolescenti durante il loro periodo formativo. Le scuole “teoriche” e le scuole ginniche ne erano teatro, e di qui vengono le testimonianze, anche visive. Con certezza sappiamo che le buone famiglie al momento opportuno affidavano i loro pargoli ai maestri, ossia ai gestori delle scuole che erano sempre private e a pagamento, pretendendo da queste sia i risultati dell’apprendimento, sia (e sembra soprattutto) la formazione di un carattere squadrato, ben forgiato a colpi di staffili. Il povero nudo sedere dei giovinetti sosteneva la somma di tali interventi, e peraltro la tradizione, oltreché biblica, era antichissima: in Grecia già da secoli vigeva la “punizione del sandalo” eppoi quella delle striscie di cuoio; in Roma vi era una specie di graduatoria delle frustate scolastiche: dalla ferula alla virga alla scutica (ahiloro!!). Diversi scrittori romani ricodano i trattamenti ricevuti dai maestri plagosi, ossia che che facevano venire le vesciche. Presentiamo così l’insegna pubblica di una scuola pompeiana, che serviva da grande richiamo per le famiglie che volessero ottimi risultati.Fra le antiche sculture di età classica si trovano varie scene di dissidio sessuale, tra vogliosi ruvidi maschi (fauni, sàtiri, tritoni, eccetera) e nolenti ninfe o fanciulle. Questo gruppo, che forse discende da una animata composizione ellenistica, lo mostriamo qui per confermare l’ispirazione “romana” che Raffaello dovette avere. Infatti il piccolo monòcromo della Scuola di Atene è stato studiato con una precisa, quasi insistente elaborazione da parte del Maestro di Urbino.

Nel medioevo, dove le punizioni per gli adulti furono troppo spesso assai aspre, anche l’educazione comportava dolori corporali, ma la documentazione è scarsa. Ne rimane un’eco inaspettata in pieno rinascimento (1474) nel primo degli affreschi di Benozzo Gozzoli dove il pittore illustra la vita di sant’Agostino. Qui i genitori hanno già affidato il piccolo e volonteroso Agostino al celebre maestro di Tagaste, il quale se lo tiene benevolmente accanto mentre somministra al bimbo disobbediente (che già si trova “sulle spalle”) le salutari e ben note nerbature.L’ambiente è molto nobile. Gli studentini giudiziosi tengono le tabulae sulle ginocchia, mentre il ragazzo irrequieto si trova nella posizione ben nota del catotum, parola di gergo che signficava “stare sulle spalle”. Infatti un compagno robusto è obbligato a tenerlo sulle spalle e un alto a tenergli fermi i piedi: la posizione è evidente, ed è il maestro in persona che interviene a somministrare la punizione, la quale semmai sarà continuata dall’inserviente che segue. Tutto questo come manifesto pubblico!

Nel dipinto del Tiarini l’aulica Afrodite diventa una mamma padana e la battitura avviene secondo la metodica e la postura inveterata delle nostre nonne. Nel successivo particolare da Poussin, molto attento ai temi etici, possiamo mirare i deludenti risultati delle scorribande di Cupido, che qui ha fatto ubriacare tutti ed è riverso a terra, anch’egli ormai brillo.Nei secoli moderni (Seicento e Settecento) le figurazioni di pene scolastiche quasi scompaiono del tutto; ma la sottile venatura della “riprovazione dei sensi” slitta su un florilegio marginale, abbastanza diffuso, di tele e telette, incisioni, ceramiche e qualche scultura, riportanti la scena di Venere che punisce Amore. Un topos decisamente letterario e ideistico, senza dolore, laddove la Dea rimprovera di fatto l’improvvido Cupido, causa di amori insensati. Già questo avveniva, peraltro, negli affreschi pompeiani.

Anche i gruppetti deliziosi delle piccole ceramiche venivano accolti volentieri sulle tavole delle famiglie ricche, e il tema apparentemente fatuo di una mitologia lontana rivelava una convinzione assai ferma che voleva le stirpi ben riguardate, e i matrimoni non dettati da impulsi amorosi, ma determinati con rigore dagli interessi di ciascuna famiglia. Questo ci permette di passare ad un dipinto quasi sorprendente del pittore viennese Adam Johann Braun (1748 – 1827) il quale lavorò spesso come illustratore della vita sociale della sua città. Il soggetto, così esplicito, è raro, e non sappiamo chi l’abbia commissionato: forse una famiglia dagli irriducibili costumi (come exemplum ammonitorio per le figlie in crescita), o forse dalla badessa di un rigidissimo Collegio femminile nel quale il regolamento (!) vietava alle educande delle nobili prosapie qualsiasi propensione amorosa, con relative precise e sensibili punizioni (!). Non importa saperlo perché lo scopo era unico: le Collegiali erano poste presso il monastero ai soli fini di una educazione formale, segregate da deprecatissimi e vietatissimi approcci maschili, e riservate al futuro matrimonio deciso dal padre padrone.

Qui di una punizione si tratta, ma elaborata in modo attento e quasi commosso. L’ambiente è quello di un di collegio femminile del tempo passato, dedicato a fanciulle nobili. Qui la Reggitrice, o Badessa, secondo i severi regolamenti e secondo i doveri dell’ufficio, doveva somministrare di propria mano i compensi agli errori delle educande. La scena lascia trapelare un avvenimento: la fanciulla superbetta ha sbagliato (il biglietto stracciato sul pavimento vuole indicare ad evidenza una principiale relazione amorosa) e la Badessa interviene ricordandole con quale punizione debba ora riparare al fatto. Ma sembra (diciamo) che alla prima parte del colloquio abbia fatto seguito la ammissione della colpa e la richiesta del perdono; la ragazza è indotta a recitare una preghiera di pentimento davanti al piccolo altare da studio, esortata e accompagnata dalla Rettora. Infatti è subito dopo che l’educanda stessa spontaneamente si dispone in modo acconcio sul gradino dell’altare per ricevere il dovuto castigo, e ben espone le aurorali superfici sulle quali s’imprimeranno le strisciate della punizione. Il tutto è molto commovente: la Superiora tiene le verghe con le quali lascerà i vari segni sulle tenere cluni. Tremanti rimangono soltanto le inservienti della Signorina, che forse hanno già preparato gli unguenti lenitivi, ma l’atmosfera assurge davvero a un respiro poetico di raggiunta equità. Di contro la sensazione è che poco dopo la nobile educanda, pur conservando i bruciori del caso, si voglia ripresentare alle compagne di collegio con un’aria di superamento, come si conviene ad una del suo rango. Conserva per questo i suoi abiti belli ed i gioielli. I bruciori li elaborerà via via, dalla pelle alla memoria.

Da parte nostra null’altro da dire sulla scenetta, se non ricordare “la gran virtude de li tempi antiqui” quando le nostre nonne ci snocciolavano i loro interventi senza alcun cerimoniale premuroso, con le decise sante mani. Ora l’universo quasi unanime dei pedagoghi occidentali esclude il toccare i bimbi, i cresciutelli, e i giovani pimpanti: che crescono così, col sedere vergine.

Ma il diffondersi impressionante del bullismo e della formazione dei branchi, dove la violenza fisica diventa la pratica continua e provoca la rovina di tante altre giovani persone più deboli e preziosissime, e giunge ad episodi gravissimi e a delitti, ci dice niente? Ogni giorno assistiamo alle cronache e all’impotenza giuridica su risse giovanili anche pubbliche, su persecuzioni fisiche, su violenze a donne e bambini, su devastazioni di beni culturali! E cosa facciamo? Qui in Occidente non si potrebbe tornare ad una sacrosanta, e giusta, e utile, pratica antica? Raffaello vorrebbe ammaestrarci ancora?

(Fonte https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/da-raffaello-ad-adam-braun-tra-esortazioni-e-correzioni?fbclid=IwAR1olwLdD4yN3UEBpHv1gb_CkzlxfSvFZCdXUY3yGKlwlVXZV0pIpa5A-Oo)