PERCHÉ SI DICE CHE I COMUNISTI MANGIANO I BAMBINI? 29 Gennaio 2021 – Posted in: Lo Sapevi che

Come è nato l’aneddoto che i comunisti mangiano i bambini?

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Episodi di cannibalismo nei regimi comunisti

Il detto popolare, diffuso in Italia e in altri paesi, secondo cui “i comunisti mangiano i bambini” ha origini nell’atteggiamento di ostilità e paura verso il bolscevismo, e fa riferimento temporale proprio alla carestia Russa del 1921. Questo detto viene attualmente citato dai comunisti stessi come prova dell’inattendibilità e della malafede degli anticomunisti. Ma ci sono prove che questo detto ha radici nella realtà. Comunismo e cannibalismo: ho riflettuto se includere questo argomento nel sito. Non perché ritenga che certi fatti vadano taciuti, ma perché temo che i gli episodi narrati siano talmente abnormi da non poter essere creduti, gettando un’ombra di dubbio sulla correttezza delle altre critiche al comunismo.

Voglio chiarire che certamente nessuno intende sostenere che il cannibalismo fosse una pratica comune nei regimi comunisti, o tanto meno che il cannibalismo facesse in qualche modo parte dell’ideologia comunista! Il cannibalismo è soltanto il punto più basso, il superamento del tabù più profondo, l’abbrutimento più degradante, che gli sventurati popoli sottoposti ai regimi comunisti hanno dovuto subire per effetto delle miserabili condizioni materiali (e morali) a cui l’ideologia comunista li aveva condotti.

Una reazione di negazione è certamente comprensibile, ma purtroppo la realtà supera spesso anche gli incubi peggiori. Purtroppo, non è possibile negare che tra i tanti fatti tragici del ventesimo secolo ci siano stati innumerevoli episodi di cannibalismo anche in paesi relativamente sviluppati. Per chi, giustamente scettico, voglia approfondire l’argomento o cercare conferme non mancano le fonti.

Episodi di cannibalismo in Unione Sovietica

Il tema del cannibalismo emerse già nel 1921, nel periodo della grande carestia russa nell’Unione Sovietica che colpì 33 milioni di persone facendo 5 milioni di morti. La carestia ebbe una grande risonanza internazionale, tanto che in Italia furono costituiti oltre trecento comitati di soccorso, con coinvolgimento di tutte le parti politiche e sociali (le quali polemizzarono sulle cause e le responsabilità del fenomeno). Lo scrittore russo Michail Osorgin, redattore del bollettino Pomosc (Il soccorso) del comitato di soccorso panrusso, parlò di un cannibalismo diffuso. Orlando Malevolti e l’archeologo e filantropo antifascista Umberto Zanotti Bianco, recatisi in Russia, riferirono di numerosi casi di cannibalismo, uccisioni di bambini, profanazione dei cimiteri e vendita di carne umana nei mercati. Il libro La Ceka – Il terrore bolscevico, pubblicato nel 1923 (ed. La promotrice), riferisce che il cannibalismo era commentato nella stampa e negli organi ufficiali russi:

« “I cadaveri umani già vengono usati come alimento… I parenti dei morti di fame sono costretti a mettere per il primo tempo dei piantoni presso le tombe… I fanciulli morti vengono fatti a pezzi e messi nella pentola”. Così parla questo collaboratore [Antonoff Ovsenko] del ben noto Krylenko nella sua relazione ufficiale al Congresso dei Soviet. E ciò viene riprodotto dalla stampa ufficiale, nella quale da allora non cessano di esser pubblicati lunghi e dolorosi elenchi dei casi di cannibalismo provocato dalla fame, registrati ufficialmente. »

Gli archivi sovietici, aperti dopo il 1989, confermano queste testimonianze di cannibalismo [numerosi resoconti provenienti negli archivi sovietici sono stati pubblicati da Orlando Figes in “La tragedia di un popolo: la rivoluzione russa 1981-1924”, ed. Corbaccio, 1997] e anzi rivelano che il cannibalismo era molto più diffuso di quanto non si credesse [lo affermano Daniel Korn, Mark Radice e Charlie Hawes in Cannibali, ed. Mondadori, pag. 92 e 93]: la Ceka istituì addirittura una commissione apposita per impedire il cannibalismo e il commercio di carne umana.

Eventi analoghi di cannibalismo si verificarono in Ucraina durante l’Holodomor del 1932-1933, una carestia indotta che viene considerata da molti come un caso di genocidio. Già all’epoca si parlò di cannibalismo, nel contesto delle testimonianze di Ewald Ammende e Gareth Jones. [vedi gli articoli del Times del 28 agosto 1933 e del 22 gennaio 1934]

The Black Deeds of the Kremlin, [Volume 1 Book of testimonies, Ukrainian association of victims of russian communist terror, ed. Brasilian Press, 1953; volume 2 The great famine in Ukraine in 1932-1933, Federation of Ukraine Prisoners, ed. DOBRUS, 1955] un corposo libro di testimonianze pubblicato dalle vittime del regime sovietico e della suddetta carestia, dedica un intero capitolo al cannibalismo.

Robert Conquest riporta alcune testimonianze di cannibalismo da altre fonti e afferma che la moglie di Stalin, Nadežda Allilueva, si suicidò nel 1932 in seguito a un litigio con il marito, dopo aver parlato con testimoni che le chiesero di segnalare a Stalin le terribili condizioni di vita in Ucraina e che le riferirono episodi di cannibalismo.

Di cannibalismo si parla anche nei rapporti coevi dei diplomatici italiani. [Andrea Graziosi, Lettere da Kharkov – La carestia in Ucraina e nel Caucaso del nord nei rapporti dei diplomatici italiani, 1932-1933, ed. Einaudi, 1991]

Nel contesto del Gulag, il cannibalismo è descritto in Arcipelago Gulag di Aleksandr Solzenicyn, in L’uomo del Gulag di Janus Bardach e in Viaggio nella vertiginedi Evgenija Solomonovna Ginzburg. Secondo diverse testimonianze, alcuni detenuti organizzavano piani di fuga in coppia, con un terzo detenuto che aveva a sua insaputa la funzione di “scorta alimentare ambulante” e che all’occorrenza sarebbe stato ucciso e mangiato.

Nazino – l’isola dei cannibali voluta da Stalin (Ostrov ljudoedov) è il nome che abitanti locali diedero all’isola di Nazino, nel cuore della Siberia, ed è il titolo del libro di Nicolas Werth che ne narra la storia, ricavata dagli archivi sovietici. Nel 1933, furono condotti esperimenti sociali di sopravvivenza, che videro migliaia di “elementi socialmente nocivi” deportati in aree completamente disabitate e prive di mezzi di sussistenza, allo scopo di identificare un metodo di colonizzazione del “Far East” sovietico. Sull’isola di Nazino, furono trasferite 13.000 persone: quasi tutte morirono d’inedia, freddo e fame, si uccisero a vicenda o furono giustiziate. Gli episodi di cannibalismo erano all’ordine del giorno.

Il cannibalismo in Cina

Cina Durante la carestia del 1959, la cui causa principale furono gli errori di pianificazione del Grande balzo in avanti, si verificarono numerosi casi di cannibalismo riportati sia nei documenti ufficiali [La rivoluzione della fame di Jasper Becker (ed. il Saggiatore 1996)] che da diversi testimoni, fra i quali quelli citati da Jung Chang nel bestseller Cigni selvatici (pag. 297), quelli intervistati da Jasper Becker e lo scrittore cinese Acheng, che ha scritto il racconto “Fumo” ispirandosi ad un’esperienza reale vissuta da lui stesso.

Negli anni della Rivoluzione Culturale si verificarono episodi di cannibalismo rituale: secondo una tradizione orientale, il fegato, la bile o il cervello, estratti dal nemico ancora in vita, trasferivano il suo coraggio e la sua forza a chi li mangiava. Tali episodi sono descritti da Nicholas D. Kristof e Sheryl WuDunn e da Zheng Yi, [Scarlet memorial: tales of cannibalism in modern China (ed. Westview 1996)] oggi professore universitario in USA, che ha intervistato due cannibali e raccolto prove documentarie.

Secondo i tre autori suddetti, [vedi anche l’intervista nel documentario su Mao trasmesso nella serie Correva l’anno prodotta da Rai Tre, presente anche in Mao Tze Tung distribuito su DVD dalla Finson] i cannibali mangiavano le loro vittime per scopi ideologici e per “provare la loro coscienza di classe”.

Cannibalismo in Corea del Nord

Sono descritti casi di cannibalismo e di vendita di carne umana, nelle prigioni e nel periodo di carestia della seconda metà degli anni ’90. [Corea del Nord. Fame e atomica di Pierre Rigoulot (ed. Guerini e Associati 2004) pag. 43, La rondine fuggita dal paradiso di Hyok Kang e Philippe Grangereau (ed. Piemme 2007) pag. 145, 148, Rogue Regime: Kim Jong Il and the Looming Threat of North Korea di Jasper Becker (ed. Oxford University Press). Vedi anche gli articoli di World Net Daily, del Washington Post, del Telegraph e del New Yorker]

Cannibalismo in Cambogia

Diverse testimonianze riferiscono di episodi di cannibalismo, soprattutto di tipo rituale, avvenuti durante il regime dei Khmer rossi. Bovannrith Tho Nguon spiega che i Khmer Rossi riportarono in auge una forma di cannibalismo rituale che attribuiva il potere di curare qualsiasi malattia alla cistifellea estratta a persone ancora vive e assunta seccata e grattugiata. Egli ha visto numerosi prigionieri sventrati vivi, le cui cistifellee venivano poi seccate al sole. Rithy Panh sostiene di aver visto i Khmer Rossi sventrare due bambini per raccoglierne e berne la bile, prima di ucciderli. La pratica trova conferma anche nella testimonianza di Ung Bunhaeng, che oltre a descriverla l’ha rappresentata graficamente. Altri riferimenti al cannibalismo, talvolta vaghi, sono presenti in letteratura, sebbene non tutti siano attendibili perché, secondo studi accademici, tali pratiche di magia nera furono usate dalla propaganda del regime di Lon Nol per rappresentare i Khmer Rossi come gli “yeak”, gli orchi delle favole cambogiane.

(Fonte Museodelcomunismo.it)