COME SI DICE 22 Marzo 2022 – Posted in: Grammatica, Parole – Tags: ,

LA PRONUNCIA

o pronunzia, n.f. [pl. -ce] 1 l’articolazione dei suoni di una lingua e il modo di articolarli; il proferire le parole di una lingua secondo determinate norme: la p. della «z» sorda e della «z» sonora; la pronuncia della «u» francese; difetto di pronuncia; la p. corretta di una parola, di una frase 2 il complesso degli elementi caratteristici che costituiscono la fonetica di una lingua (o di una parlata regionale o individuale): la pronuncia italiana, spagnola, francese; pronuncia settentrionale, meridionale, milanese, fiorentina, sarda; si sente dalla pronuncia che è bolognese 3 ( estens.) la maniera di parlare: una pronuncia chiara, lenta, nasale; una pronuncia ottima, difettosa 4 ( dir.) decisione del giudice (Fonte sapere.it)

PAROLE DUBBIE

Ci sono molte parole che presentano frequentemente dubbi di pronuncia, e spesso vengono dette usando un accento tonico errato. Come si dice?

Di seguito un elenco di quelle più “spinose” che bisognerebbe conoscere, anche se per alcune i dizionari ormai riportano anche la pronuncia meno corretta proprio perché viene travisata così di frequente che tende a diventare quasi la norma.

Come si dice

  1. àmaca o amàca?
  2. càduco o cadùco?
  3. Cervèteri o Cervetèri?
  4. Cònero o Conèro?
  5. cosmopòlita o cosmopolìta?
  6. elèttrodo o elettròdo?
  7. Frìuli o Friùli?
  8. Impari o impàri?
  9. mòllica o mollìca?
  10. pervàdere o pervadére?
  11. prosòdia o prosodìa?
  12. rùbrica o rubrica?

 

Soluzioni

Come si dice…

  1. Bisogna dire amàca, con l’accento sulla seconda a. La parola viene dalla lingua di Haiti, e precisamente da hammàka che in caribico significava “letto pensile”. Agli inizi del Cinquecento gli spagnoli hanno introdotto il nome e l’oggetto in Europa, nella forma hamàca, che si è mantenuta a lungo inalterata, tant’è che Manzoni, nei Promessi sposi, scrive ancora hamàc. A diffondere la forma amàca è stato Gabriele D’Annunzio alla fine dell’Ottocento.
  2. La pronuncia giusta è cadùco. L’accento, infatti, era sulla u anche in cadùcus, la parola latina da cui quest’aggettivo deriva (e che significa ‘destinato a cadere’ e dunque anche ‘effimero’, ‘instabile’).
  3. Cervèteri, senz’alcun dubbio: lo dimostra l’etimologia. Originariamente questa importantissima città etrusca si chiamava Caere (pron. Cère); dopo che una parte dei suoi abitanti ebbe fondato un nuovo villaggio, chiamato Cèri, la città vecchia cominciò a essere indicata come Caere Vetere, cioè, in latino, ‘Caere vecchia’. Successivamente, questo nome italianizzato in Cervèteri.
  4. Tutti (o quasi) sanno che il Cònero è un monte che si trova nelle Marche. Non tutti, però, ne pronunciano il nome con l’accento al posto giusto, ovvero sulla o. L’antico nome latino di questo monte era promunturium Cunerum, cioè ‘promon rorio a forma di cuneo’ (Cùnerum ha la stessa radice del latino cùneum, ‘cunco’): da Cùnerum a Cònero il passo è stato breve.
  5. La pronuncia corretta è cosmopolìta, con l’accento sulla i, proprio come in altre parole che terminano in -ita: israelita, moscovita, preraffaellita, eccetera. La parola viene dal termine kosmopolìtes, anch’esso con l’accento sulla i, che in greco antico significava ‘cittadino del mondo, ed era un composto di kósmos (=mondo) e di polites (= cittadino). Il significato antico si è mantenuto fino ai giorni nostri: il cosmopolita, infatti, è una persona aperta che, considerando sua patria il mondo intero, sa accettare e condividere le usanze e le idee dei popoli più diversi e lontani. Oltre che come nome, la parola può essere usata anche come aggettivo: una città, un ambiente, una mentalità cosmopolita.
  6. Bisogna dire elèttrodo, con l’accento sulla e. Riprende la parola inglese elèctrode (naturalmente, con accento sulla seconda e), proposta nel 1834 dal suo inventore, Michael Faraday, in sostituzione del termine pole (= polo). Indica un conduttore di corrente elettrica.
  7. La pronuncia corretta è Friùli, con l’accento sulla u. Il nome della regione, infatti, deriva da Forum Iùlii (anch’esso con l’accento sulla u), che in latino significava foro, piazza di Giulio . Iùlii può essere un riferimento a Giulio Cesare o, più probabilmente, alla potente famiglia romana denominata gens Iulia.
  8. L’aggettivo ìmpari significa non pari, disuguale, e deve es sere pronunciato con l’accento sulla prima i, proprio come dispari. Sia impari sia dispari hanno conservato gli accenti originari delle parole latine da cui derivano: ìmpar e dìspar.
  9. Mollìca, sempre, comunque e dovunque. Lo impone la curiosa storia di questa parola: alla base del termine italiano c’è il latino mollìca (anch’esso con l’accento sulla i), nato dall’incrocio di due parole: mollis (= morbido, molle) e mica (= briciola). Che altro è, infatti, la mollìca, se non una morbida briciola di pane?
  10. Il verbo pervàdere significa invadere diffondendosi ovunque, penetrare, e deve essere pronunciato con l’accento sulla a. Questa pronuncia riproduce quella del verbo originale latino pervàdere, composto da per (= attraverso) e vadere ( andare).
  11. La parola prosodìa indica oggi l’isieme di regole relative all’accentazione. Alla sua base c’è il termine greco prosoidia composto da prós (= verso, in direzione di) e oidé (= canto): bisogna ricordare, infatti, che nelle lingue classiche la prosodia regolava la quantità delle sillabe nei versi. Il greco prosoidìa è diventato in latino prosòdiam, ma l’italiano ha mantenuto l’accentazione del greco, come è accaduto in molte altre parole che terminano in -ia, fantasìa, malinconìa, simpatìa, eccetera.
  12. Rubrìca. Bisogna mantenere l’accentazione del termine da cui la parola deriva, che è il latino rubrìcam, con accento sul la i, proveniente a sua volta dall’aggettivo ruber, cioè rosso. I latini avevano l’abitudine di tingere di rosso alcune parti dei rotoli di papiro o di pergamena su cui scrivevano. Durante il Medioevo tale abitudine non andò perduta, e nel chiuso dei monasteri gli amanuensi presero a tingere di rosso le parti più importanti dei manoscritti. In un primo tempo la parola rubrìca si riferiva a queste parti scritte in rosso, poi assunse altri valori, indicando, di volta in volta, non più l’indice degli argomenti ma qualsiasi elenco ordinato alfabeticamente (la rubrìca telefonica); non più la parte importante di un libro, ma la parte di un giornale (e poi di un programma radiotelevisivo) dedicata a un determinato argomento (la rubrìca mondana; una rubrìca dedicata allo sport).

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