LE LAVANDERIE DELLA MADDALENA 9 Agosto 2022 – Posted in: Lo Sapevi che – Tags: , , , , , , , , ,

Cos’erano le lavanderie della Maddalena in Irlanda?

L’abominio delle Lavanderie della Maddalena in Irlanda: una schiavitù del XX secolo. 

Non è un velo pietoso quello steso sulla vita e lo sfruttamento di migliaia di donne, ma cumuli di terra, a coprire i corpi di molte disgraziate, abbandonate e dimenticate in istituti “misericordiosi”, dove la misericordia non è mai stata di casa.

E’ un macigno che peserà per sempre sulle coscienze di chi ha gestito tali istituti, di chi ha collaborato, di chi ha voltato la faccia dall’altra parte per non vedere. Non si parla di abusi perpetrati tanto tempo fa, ma di una vergognosa pratica di internamento che si è protratta per due secoli, fino al 1996.

Una circostanza fortuita

A squarciare il velo su una situazione certo non inconsueta nel 18° e 19° secolo, ma non giustificabile nei decenni di fine 20°, è una circostanza fortuita: nel 1992 le Suore di Nostra Signora della Carità, in Irlanda, fanno operazioni un po’ troppo azzardate in borsa e sono costrette a vendere alcune proprietà a Dublino, per ripianare i debiti.

Pietosamente chiedono di poter spostare i corpi delle donne sepolte nel cimitero di uno dei loro istituti, noti come Magdalene Laundries (lavanderie Maddalena).

Nella lavanderia di Donnybrook, in pieno centro a Dublino, giacciono in una fossa comune i corpi di 155 donne, che nei calcoli delle suore sarebbero dovute essere 133.

Ci sono 22 cadaveri in più, senza contare che i certificati di morte sono solo 75.

Donne senza nome e identità, dimenticate da tutti, per le quali mai nessuno ha versato nemmeno una lacrima, né per la loro morte, né tantomeno meno per una vita vissuta in segregazione, senza aver commesso alcuna colpa.

Nel corso di duecento e più anni, molte donne in Irlanda furono mandate in istituti caritatevoli come quello di Donnybrook, e più in generale nei Magdalene asylum(manicomi della Maddalena) poi noti, per la lucrosa attività che vi si svolgeva, come lavanderie della Maddalena.

Nati per accogliere, per brevi periodi, le cosiddette “donne perdute” – prostitute o semplicemente donne promiscue – questi “asili” gestiti da istituzioni cattoliche (anche se inizialmente erano protestanti, e diffusi anche in altri paesi come Gran Bretagna, Australia e Canada) si trasformarono nel tempo in luoghi di reclusione dove si viveva come in un carcere, se non peggio.

La riabilitazione e il successivo reinserimento nella vita sociale e lavorativa non erano più il fine principale.

Spesso erano i genitori a chiedere di internare le figlie “difficili”, per ricondurle sulla retta via, ovvero imparare un mestiere “rispettabile”. Verso la fine del 19° secolo, le “ospiti” degli “asili della Maddalena” appartengono a categorie molto diverse.

L’espandersi dell’attività di lavanderia, il crescente numero di istituti che si dedica a questo settore richiede un sempre maggior numero di donne che lavorino, non pagate, all’interno di essi, per periodi sempre più lunghi. Si allarga, quindi, la categoria di “donne perdute”, comprendendo anche madri non sposate (alle quali vengono tolti i figli), donne vittime di stupro o con qualche disabilità, o semplicemente ragazze troppo corteggiate o troppo “civette”. Molte di loro, senza nessun appoggio familiare, rimangono internate per tutta la vita.

A Dublino sono le Suore di Nostra Signora della Carità e la Congregazione delle Suore della Misericordia a gestire con pugno di ferro le lavanderie, ma anche gli orfanotrofi e i riformatori, in un “sistema più ampio per il controllo dei bambini e delle donne”, in un’organizzazione che contraddiceva “la missione dichiarata delle congregazioni religiose di proteggere, riformare e riabilitare”. (Smith, James M, Magdalen Laundries and the Nations Architecture of Confinement).

La vita all’interno degli istituti è durissima: vige la regola del silenzio e le punizioni sono frequentissime oltre che assolutamente arbitrarie.

Le ragazze, che non vengono chiamate per nome ma con un numero o con l’appellativo di “bambina”, sono picchiate, costrette a dormire al freddo e sottoposte a massacranti turni di lavoro, con poco da mangiare e nessun contatto con il mondo esterno.

Come è stato possibile che tutto questo si sia protratto per un tempo così lungo?

Ogni testimonianza (poche in verità) su come si viveva nelle lavanderie della Maddalena non è mai stata presa in considerazione: dopo tutto si trattava di misericordiosi ordini religiosi della cattolicissima Irlanda!

Dalla fondazione di questi istituti fino alla fine degli anni ’90, sono state rinchiuse negli “asili” qualcosa come trecentomila donne. Si stima che dal 1922 fino alla chiusura dell’ultimo, nel 1996, diecimila donne abbiano costituito la forza lavoro delle lavanderie.

Quando l’opinione pubblica e la stampa vengono a conoscenza della discrepanza tra il numero dei cadaveri sepolti a Donnybrook e i certificati di morte iniziano a chiedere spiegazioni.

Un errore amministrativo, è stata la risposta da parte dell’istituto, e quei poveri resti sono stati prontamente cremati e trasferiti in un’altra fossa comune, al cimitero di Glasnevin.

All’improvviso quello che molti sapevano facendo finta di niente è diventato uno scandalo, che ha convinto molte delle donne transitate attraverso le lavanderie a raccontare la loro dolorosa esperienza.

Sara W.

Ne basta una per tutte: Sara W., giunta a Donnybrook nel 1954, diventa semplicemente il numero 100. Perché arriva lì?

La ragazza ha 15 anni e lavora in un bed & breakfast quando viene avvicinata da alcuni membri della Legione di Maria, che le promettono un lavoro migliore. Finisce invece all’inferno:

“Ogni sera alle nove eri rinchiusa in quella cella. Le finestre erano molto alte, …e io salivo in cima al letto per guardare fuori. Non ho mai visto la luce del giorno per due anni. L’unica piccola libertà: ci è stato permesso di camminare su e giù per un posto chiamato ‘la candeggina’, dove d’estate stendevano le lenzuola, stendibiancheria e tutto il resto. Camminavi su e giù lì. Quella era la tua libertà”.

Sara trascorre i successivi due anni (poi la spostano in un’altra lavanderia) completamente isolata dal mondo esterno: non riceve risposta alle lettere scritte alla zia e alla madre, e le suore non la informano nemmeno quando la madre muore: “Stavo scrivendo a mia madre che era morta”.

Costretto da tanto clamore, il governo irlandese ha ammesso, nel 2013, dopo molto tempo e solo a seguito di un ricorso al Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, il suo “significativo” coinvolgimento nell’invio di migliaia di donne nelle lavanderie.

Il primo ministro si è visto costretto a chiedere pubbliche scuse alle Maddalene, e a istituire un fondo di risarcimento per le sopravvissute. Nessuna scusa e nessun contributo sono mai arrivati dagli ordini religiosi (Chiedere scusa per cosa? Scusarsi per aver fornito un servizio? Abbiamo fornito un servizio gratuito per il Paese, il commento). Ma non è tutto.

La cosa più angosciante, quella che nega ogni parvenza di umanità alle Maddalene, è la quasi totale mancanza di una traccia che possa ricondurre alla loro identità: la politica di segretezza degli istituti religiosi impedisce l’accesso ai registri delle “penitenti”. Donne che “costituiscono gli scomparsi della nazione (…) escluse, messe a tacere o punite” perché di loro non importava niente a nessuno, donne che la società “cercava di negare e rendere invisibili” (James Smith, op.cit.) perché contravvenivano, in qualche modo, all’ordine morale imperante.

E per aggiungere orrore all’orrore, nel 2014 sono stati ritrovati i resti di 796 bambini, sepolti in una fosse settica dell’istituto Bon Secour Mother and Baby Home a Tuam, solo grazie all’ostinazione di una donna che ha fatto ricerche sulle storia locale e che da bambina viveva proprio a ridosso dell’istituto.

Ma questo è un altro aspetto della storia, che prepotentemente torna alla ribalta dopo la scoperta di una fossa comune, con i resti di 215 bambini, rinvenuta in Canada vicino a una scuola riservata ai nativi (chiusa nel 1978) e gestita dalla chiesa cattolica.

Le Indian residential schools erano una rete di scuole, volute dal governo centrale, dove venivano educati – spesso con metodi abusanti – migliaia di bambini nativi tolti alle famiglie d’origine con la finalità di allontanarli dalle loro radici culturali. Anche loro sono fantasmi, bambini dei quali rimangono solo le ossa come traccia del loro passaggio su questa Terra.

Viene da dare ragione al filosofo Aldous Huxley quando diceva:

“Forse la Terra è l’inferno di un altro pianeta”. 

(Fonte Vanilla Magazine)