EL DORADO – MITO, STORIA O LEGGENDA? 9 Gennaio 2021 – Posted in: Momenti – Tags:

Storia della città dei tesori e dell’indio dorato

El Dorado era una promessa. Un’illusione collettiva di coloro che speravano di soddisfare la propria cupidigia, di vivere quello che era un sogno di ricchezza assoluta. Una ricchezza che assumeva un tale valore da assumere sfumature mistiche, paradisiache, come se El Dorado fosse una sorta di Giardino dell’Eden.

Il sogno di El Dorado, una città perduta piena d’oro, portò molti conquistador ad avventurarsi lungo le foreste pluviali e le montagne del Sud America, sfidando animali selvaggi, indigeni ostili e malattie. Ma fu tutto inutile, e leggenda di El Dorado è mutata rapidamente, nel tempo. Tanto che oggi si sostiene che “il dorato” non fosse un luogo, ma una persona.

Cos’è El Dorado

L’arrivo di Cristoforo Colombo nelle Americhe, nel 1492, fu il primo capitolo di un lungo e tormentato libro che vide uno scontro di culture e di sistemi di pensiero che cambiò il mondo per sempre.

È davvero che indicativo che il mito che gli europei elaborarono di El Dorado si aggirava intorno ad un unico, bruciante desiderio: quello della ricchezza senza fine. Questo dato dice molto di ciò che motivò la conquista delle Americhe da parte degli europei (e la conseguente distruzione di popoli e culture magnifiche).

Gli Europei che si avventuravano nelle foreste ammazzoniche e tra le Ande pensavano ad El Dorado come a un luogo, un luogo in cui sarebbero immerse quantità enormi d’oro e di pietre preziose, ma non solo: El Dorado prometteva anche di svelare conoscenze esoteriche antiche, ed è qui che la terra delle meraviglie cominciava a diventare una sorta di paradiso terrestre, nelle menti dei conquistadores.

Ma c’era un’altra leggenda di El Dorado, una leggenda che maggiormente si ancorava alla realtà e alla cultura dei popoli indigeni. Questo “altro” mito di El Dorado parlava della vera natura del territorio e delle persone che lo abitavano. Per loro El Dorado non era un posto, ma un re, così ricco da potersi ricoprire d’oro dalla testa ai piedi ogni matttina, per poi lavarsi in un lago sacro ogni sera. Questa tradizione era nata nel popolo Muisca, conosciuti anche come Chibcha, che abitava l’altopiano Cundiboyacense della Colombia.

Nel mito di El Dorado si intrecciarono storie, cupidigie, leggende e tradizioni sacre. I conquistatori Europei non capivano il vero valore dell’oro nella società Muisca. Per loro era soltanto indice di ricchezza e di potere. Così, senza farsi altre domande, nacque il mito di una terra dorata, generosa, pronta a cedere placidamente le proprie ricchezze a chiunque la trovasse.

Le spedizioni alla ricerca di El Dorado nel XVI secolo

Le storie dei Muisca e del Re ricoperto d’oro arrivarono alle orecchie dei conquistadores spagnoli nel 1537. Jimenez de Quesada, con un esercito di 800 uomini, abbandonò la precedente missione di trovare una nuova strada per il Perù e si mise a cercare i Muisca per la prima volta.

Partenza della spedizione Welser alla ricerca di El Dorado

Quesada e i suoi uomini si addentrarono in territori sconosciuti e inospitali, e molti persero la vita. Ciò che trovarono, però, li lasciò senza fiato, perché scoprirono che il modo in cui i Muisca lavoravano l’oro è unico al mondo. Ma la “terra promessa” non comparì mai.

Quesada, però, non fu il primo a cercare El Dorado. Migliaia di uomini ci avevano già provato, andando incontro a destini tragici.

I primi racconti di una città d’oro e le spedizioni finanziate dai banchieri Welser
Il mito di un luogo leggendario e ricchissimo nacque subito dopo la scoperta europea delle Americhe. I coloni erano affascinati dai monili in oro degli indigeni, e ritennero di essere giunti vicino ad un luogo ricco, forse addirittura paradisiaco, dove tutti i desideri materiali erano appagati. I tesori riportati in Spagna dai conquistadores portò i banchieri Welser, di Augusta, ad investire nella ricerca di questo luogo mitico, che ben presto fu conosciuto come El Dorado.

Il navigatore italiano Sebastiano Caboto, nel 1525, era al comando di una spedizione che aveva come scopo la ricerca del Birù (il Perù). I suoi uomini si inoltrarono nel Rio della Plata, e al loro ritorno si diffusa la leggenda di una città ricchissima, dove tutto era d’oro, anche i pavimenti. Le venne dato il nome di “Ciudad de los Cesares”.

Le cinque spedizioni dal Venezuela

Uno dei finanziatori di Caboto era Ambrosius Ehinger, anche chiamato Ambrosius Dalfinger da Ulma. Egli vene mandato da Welser a dirigere la colonia con il titolo di “Governatore delle isole di Venezuela”. I primi esploratori pensavano infatti che il Venezuela fosse un arcipelago: proprio questo portò a soprannominarla “Piccola Venezia”, o, in spagnolo, “Venezuela”. Da quaggù, e più precisamente dalla colonia di Coro, fondata dai banchieri, partirono cinque spedizioni alla ricerca del mitico El Dorado.

La prima venne guidata da Dalfinger, e risale all’agosto del 1529. Finì in modo tragico: molti uomini morirono e Dalfinger stesso tornò debilitato e febbricitante. Nel giugno del 1530 nominò provvisoriamente il giovane esploratore Nikolaus Federmann come vicegovernatore. Questo, ignorando gli ordini di Dalfinger, fece partire una propria spedizione, portandosi dietro un centinaio di uomini. La grande importanza di questa spedizione risiede nel fatto che Federmann, abile nella scritture, scrisse un saggio etnografico sulle popolazioni indigene conosciute durante il viaggio. Dal momento che quei popoli vennero sterminati nel giro di pochi anni, quella di Federmann è una delle poche testimonianze che ci rimane di loro.

Il principale predatore della regione, il giaguaro, approfittò della notte per attaccare i soldati che dormivano nei loro accampamenti

La spedizione del giovane non portò però a nulla, e Dalfinger lo esiliò dal Venezuela per quattro anni per aver disobbedito ai suoi ordini. Dalfinger stesso si avventurò in un nuovo viaggio, partendo dalla colonia di Coro. La seconda spedizione di Dalfinger fu una delle più drammatiche. Anche stavolta gli uomini dovettero districarsi tra foreste e colline impervie, animali pericolosi e indigeni ostili. Al termine della spedizione Dalfinger stesso morì, forse colpito da una freccia avvelenata.

Al posto di Dalfinger arrivò Georg Hohermuth da Spira, anch’esso inviato dai banchieri Welser. Hohermuth guidava un gruppo di coloni spagnoli, tedeschi, inglesi e italiani, e organizzò una nuova spedizione di 500 uomini. Gli esploratori percorsero oltre 2000 kilometri, raggiungendo il rio Guaviare e passando molto vicino all’altopiano di Jerira abitato dalle tribù Chibcha, quelle che probabilmente furono la vera fonte della leggenda di El Dorado. Ma la spedizione fu un fallimento e moriron trecento uomini, tra cui lo stesso Hohermuth.

Questo, prima di partire, aveva permesso all’esiliato Federmann di rientrare, assegnandogli il compito di esplorare le terre ad ovest del lago di Maracaibo. Federmann, dopo essere tornato a Coro nel dicembre del 1536, apprese presto che Gonzalo Jimenez de Quesada si preparava a una grandiosa spedizione. Così decise di imbastire una nuova spedizione personale per trovare per primo il grande El Dorado.

La scoperta de “El Indio Dorado”

Era un punto di svolta. Finalmente, Jimenez de Quesada aveva fatto la grande scoperta. Avevano infatti sentito parlare di un capo indigeno che si immergeva in una laguna ricoperto di polvere d’oro, e che gettava offerte d’oro nelle profondità delle acque del lago sacro. Insieme a Quesada c’era Sebastián de Belalcázar, che aveva sentito la storia da un mercante indigeno e che per primo coniò il termine “El indio Dorado”, in seguito abbreviato in El Dorado, per indicare il sovrano coperto di polvere d’oro che gli era stato descritto dal mercante.

La laguna sacra dell’indio dorato era il lago di Guatavita, vicino all’attuale Bogotà. Quesada, Belalcazar e Federmann ci giunsero insieme, per via diverse, e depredarono i Muisca (o Chibcha), senza però ottenere granché. Ciò che infatti non sapevano è che la tribù non possedeva grandi quantità d’oro, ma lo ricavavano da scambi commerciali con i popoli vicini. Questo contribuì a lasciare aperto il capitolo della ricerca di El Dorado, anche dopo aver trovato la fonte della leggenda.

El Dorado esiste?

La realtà storica dietro la leggenda
La vera storia dietro il mito di El Dorado è stata rimessa insieme gradualmente, negli anni, combinando le fonti storiche e le scoperte archeologiche. Pare che la leggenda sia stata a tutti gli effetti generata dal rito di passaggio effettuato dal popolo Muisca, che viveva nella Colombia Centrale fin dall’anno 800.

Nel corso del XVI secolo, diversi scrittori spagnoli raccontarono della cerimonia di El Dorado. Uno dei racconti più importanti è di Juan Rodriguez Freyle. Nel suo libro, La Conquista e la Scoperta del Nuovo Regno di Granada, pubblicato nel 1636, egli racconta che quando un sovrano moriva, nella società Muisca, iniziava il processo di successione del “prescelto dorato”. Il nuovo sovrano, di solito il nipote del precedente, si sottoponeva a un lungo rito di iniziazione che culminava nell’atto di remare su una zattera attraverso un lago sacro, come, appunto, quello Guatavita.

Circondato da quattro sacerdoti adornati di piume, corone dorate e ornamenti luccicanti, il sovrano era nudo ma coperto da una polvere d’oro. Durante la cerimonia, egli compiva delle offerte agli dei, sotto forma di oggetti d’oro, smeraldi e altre pietre preziose, gettando tutto nel lago.

Le rive del lago circolare erano piene di spettatori, anch’essi adornati di pietre preziose, che suonavano strumenti musicali e bruciavano incenso. Quando raggiungeva il centro del lago, il sacerdote alzava una bandiera per silenziare la folla. Poi, tutti iniziavano ad urlare la propria approvazione per certificare la fedeltà al nuovo sovrano.

Molti aspetti di questa narrazione sono stati confermati da recenti ricerche archeologiche che hanno rivelato le incredibili capacità di questo popolo nella produzione degli ornamenti in oro. L’oro, nella società Muisca, era molto ricercato. Ma non per il suo valore materiale, bensì per quello spirituale: aveva una connessione con la divinità e la capacità di portare equilibrio ed armonia. Un discendente dei Muisca, Enrique Gonzalez, spiega che ancora l’oro non simboleggia prosperità, ma piuttosto qualcosa di intimamente legato alla divinità.

Recenti ricerche archeologiche hanno mostrato che questi oggetti erano realizzati per un uso immediato come offerta agli dei, e per incoraggiarli a mantenere l’equilibrio del cosmo e della natura. Incredibilmente, una zattera d’oro che raffigura una scena esattamente uguale a quella descritta da Juan Rodriguez Freyle venne rivenuta nel 1969 da tre paesani, in una piccola caverna nelle caverne a sud di Bogotà. La storia raffigurata dall’artefatto, ovvero un uomo coperto d’oro che si addentra in un lago sacro, è la vera storia di El Dorado.

(Fonte https://www.wonews.it/post/el-dorado?fbclid=IwAR2RC4cZHPP3JPgIYws_m-NGXHTxX7OENtaUZqfaOCci8ZVAJMU6xHmwr_k)