L’ARTE DI FARE LA BIRRA 3 Ottobre 2021 – Posted in: Lo Sapevi che – Tags: #losapeviche #birra #storiadellabirra #curiosity #curiosità #fenomenologiadellabirra #fenomenologiadellalingua #fenomenologia
L’arte di fare la birra è illustrata con delle immagini realizzate da John Ireland famoso cartoonist che negli anni ’80 le ha ideate per la Guinness.
La preparazione della birra richiede numerose fasi di lavorazione.
Spiegarle tutte in dettaglio e con le numerose varianti richiederebbe un’enciclopedia ma, poiché il Blog non si vuole sostituire alla letteratura tecnica, ho concentrato in mille parole o poco più le fasi più rilevanti.
La prima fase riguarda la preparazione del malto.
A questo scopo è importante che l’orzo (o qualsiasi altro cereale impiegato per il brassaggio) sia e rimanga in buone condizioni, per cui dopo il raccolto deve riposare per un certo lasso di tempo, perchè completi la sua maturazione.
Una volta selezionato e ripulito, l’orzo viene immesso nelle vasche di macerazione, dove per tre o quattro giorni riceve l’acqua e l’ossigeno necessari per la germinazione.
L’acqua di macero, che di solito è mantenuta a temperature varianti fra i 12 e i 15 gradi, viene cambiata in continuazione.
Quando l’orzo ha raggiunto l’umidità necessaria, viene messo a germinare per circa una settimana nei cassoni di germinazione.
In questo processo è molto importante l’aerazione dei chicchi.
Quando la radichetta raggiunge grosso modo i due terzi della lunghezza del chicco, la germinazione viene bloccata e il malto è pronto per l’essiccazione e la torrefazione.
L’orzo maltato o torrefatto viene macinato, acquisendo così la consistenza di una farina, in seguito miscelato ad acqua tiepida, successivamente portata a temperature più elevate, (circa 65-68 gradi).
Sì compie così la prima fase della fabbricazione della birra, detta ammostatura, in cui il malto si trasforma in mosto.
Ciò avviene in quanto l’amido ancora presente nel malto diviene uno zucchero, il maltosio.
Il mosto poi, dopo la sua separazione dalle trebbie, passa alla cottura.
Viene immerso in una caldaia e riscaldato fino al punto di ebollizione.
La durata della cottura dipende dal tipo di birra che si intende produrre, ma diciamo che in genere non si scende quasi mai sotto l’ora.
La bollitura, che serve tra l’altro per la sterilizzazione e la concentrazione del mosto, avviene a vapore o mediante getti ad alta pressione di acqua bollente.
La temperatura alla quale il mosto viene sottoposto è di fondamentale importanza, poichè gran parte delle sue trasformazioni biochimiche dipendono da essa.
Durante la cottura poi viene effettuata un’altra importante operazione: l’aggiunta del luppolo, che conferisce il caratteristico sapore amarognolo alla birra, nonché l’inconfondibile aroma.
Il cuore della birreria: la sala di cottura
Il mosto viene raffreddato e portato a temperature adatte alla fermentazione: dai 4 ai 6 gradi per la bassa fermentazione e dai 15 ai 20 gradi per quella alta.
Infine, dato che il processo di fermentazione si può svolgere solo in condizioni di aerobiosi, viene disciolta nel mosto una certa quantità di ossigeno.
La fermentazione si divide in due fasi, la fermentazione principale e quella secondaria, detta anche maturazione.
La magia del lievito
Protagonista assoluto è il lievito, che viene immesso nel mosto alla temperatura desiderata a seconda del tipo di birra da produrre.
Esso agisce facendo sì che gli zuccheri e gli aminoacidi presenti nel mosto si trasformino in alcol, anidride carbonica e altre sostanze aromatiche.
Il Saccharomyces carlsbergensis, lievito per le birre a bassa fermentazione, opera fra i 5 e gli 8 gradi.
In termini quantitativi il metodo della bassa fermentazione è in assoluto il più diffuso: viene utilizzato per produrre le birre tipo Lager, che sono le più diffuse e le birre stile Pils.
Verso la fine del processo fermentativo questo tipo di lievito tende ad agglomerarsi in grossi fiocchi, mentre le cellule si depositano sul fondo.
Il Saccharomyces cerevisiae fra i 16 e i 23 gradi.
Vengono prodotte con l’alta fermentazione molte specialità: numerose Ales inglesi, le specialità belghe e la quasi totalità delle birre craft.
È noto che i processi di fermentazione si acuiscono con il calore, per cui quella alta avviene più rapidamente di quella bassa.
La bassa e l’alta fermentazione
La fermentazione secondaria o maturazione invece consiste nel porre la giovane birra in grossi tini di maturazione, oggi generalmente di acciaio, a una temperatura oscillante fra O e 2 gradi, per una durata di 4 o 5 settimane di media.
Esistono anche delle specialità brassicole che vengono prodotte sfruttando il processo di fermentazione naturale o spontanea.
Si tratta di birre che fermentano senza l’aggiunta di lievito di coltura, in quanto si utilizzano il lievito presente nell’aria.
Le birre che derivano da questa fermentazione spontanea sono il Lambic e le sue derivate: la Gueuze e le Fruit Beer come le Kriek e le Framboise.
Vi sono anche birre che vengono “rifermentate in bottiglia” riferito a una birra.
Si tratta di birre prodotte in alta fermentazione che oltre alla ordinaria fermentazione ne subiscono una ulteriore inserendo del lievitodi nella fase di imbottigliamento.
Lievito che continuerà la sua opera all’interno della bottiglia accentuando le caratteristiche della birra; sono birre chiaratamente forti, ricche di fascino e di tradizione.
Talune specialità birrarie particolarmente pregiate vengono lasciate maturare per diversi mesi.
Tutto ciò serve a saturare di anidride carbonica la birra, alla sua chiarificazione, e in generale a un affinamento del gusto, in quanto tutti gli ingredienti della stessa armonizzano più compiutamente.
Alla fine del processo la birra generalmente viene filtrata per togliere i residui di lievito e di altre sostanze che hanno terminato il loro compito e infine imbottigliata o infustata.
Birra: filtrata o non filtrata?
Vi sono birre che vengono proposte non filtrate e in questo caso si presentano torbide in quanto restano nel liquido parte del lievito e di altre sostanze che se da una parte offrono aromi e sapori più articolati, dall’altra ne limitano la durata e possono influire sull’instabilità del prodotto.
La birra non filtrata non è un moderno metodo di fabbricazione ma un ritorno alle origini.
Infatti fino al 1878 la birra non veniva filtrata e si presentava scura e torbida.
Con l’invenzione della prima attrezzatura per filtrare la birra e il grande successo della tipo Lager, di Anton Dreher, la birra divenne prevalentemente limpida e di colore biondo oro.
Oggi, si stima, che rappresentino più dell’80% delle birre bevute in tutto il mondo.
Con la nascita e lo sviluppo delle Craft Breweries negli USA, che dagli anni ‘80 si sono successivamente diffuse anche in tutto il mondo, Italia inclusa dove se ne contano circa un migliaio, le birre non filtrate sono ritornate alla ribalta e sono molto apprezzate dagli appassionati.
Un’ultima nota riguarda la pastorizzazione, che consiste nel portare la birra in bottiglia ad una temperatura di 60 gradi per 10-15 minuti, distruggendo così i microrganismi presenti.
Negli ultimi anni è stata introdotta la tecnica della soft pastorizzazione che viene ottenuta facendo scorrere la birra su delle piastre a 70° per pochi secondi e quindi raffreddandola immediatamente.
Questo metodo nato inizialmente per la birra in fusti, dato il buon compromesso fra qualità del prodotto e durata è stato utilizzato da molti birrifici anche per le bottiglie.
Scopo di questa operazione è garantire una migliore conservazione del prodotto nel tempo e farla arrivare nel nostro bicchiere nelle migliori condizioni.
La birra, salvo alcuni specialità di alta gradazione alcolica e che vengono prodotte con il metodo della rifermentazione, non ama l’invecchiamento, prima si beve meglio è.
(Fonte bit.ly/3iql1TK)