MATA HARI – UNA SPIA CHE SAPEVA DANZARE 19 Marzo 2021 – Posted in: Biografie

Chi sono le donne più misteriose che siano mai vissute?

Mata Hari è stata una danzatrice e agente segreto olandese, condannata alla pena capitale per la sua attività di spionaggio durante la prima guerra mondiale.

Ragazza straordinaria sin alla nascita, aveva una carnagione scura e i capelli e gli occhi neri, caratteristiche fisiche che la differenziavano notevolmente dai suoi connazionali olandesi.

A Parigi dopo i primi insuccessi iniziò ad eseibrsi come ballerina. La sua danza era, a suo dire, quella delle sacerdotesse del dio orientale Shiva, che mimavano un approccio amoroso verso la divinità, fino a spogliarsi, un velo dopo l’altro, del tutto, o quasi.

Il successo fu tale che i giornali arrivano a parlarne: lady Mac Leod, come ora si faceva chiamare, replicò il successo in altre esibizioni, ancora tenute in case private, dove più facilmente poteva togliersi i veli del suo costume, e la sua fama di «danzatrice venuta dall’Oriente» incominciò a estendersi per tutta Parigi.

Notata da monsieur Guimet, industriale e collezionista di oggetti d’arte orientali, ricevette da questi la proposta di esibirsi in place de Jéna, nel museo dove egli custodiva i suoi preziosi reperti, come un animato gioiello orientale.

Fu però necessario cambiare il suo nome, troppo borghese ed europeo: così Guimet scelse il nome, d’origine malese, di Mata Hari, letteralmente «Occhio dell’Alba» e quindi “Sole”.

Mata Hari appariva vestita con sottili veli traslucidi dei quali si spogliava uno dopo l’altro durante l’esibizione, finché non le rimanevano solo i gioielli orientali che portava, e talvolta, una maglia dello stesso colore della sua pelle; sebbene il suo numero consistesse nello spogliarsi lentamente, lei non mostrò mai il seno nudo, perché la imbarazzava.

Affermò anche che suo marito le aveva strappato i capezzoli in un impeto di gelosia, ma si trattava di una bugia.

La verità è che le cupole di bronzo ingioiellate che mascheravano i suoi seni durante i suoi spettacoli dovevano nascondere le sue dimensioni minuscole. Il successo provocò naturalmente una curiosità cui ella non poté sottrarsi e dovette far collimare l’immagine privata con quella pubblica: «Sono nata a Giava e vi ho vissuto per anni» – raccontò ai giornalisti, mescolando poche verità e molte menzogne – «sono entrata, a rischio della vita, nei templi segreti dell’India [ … ] ho assistito alle esibizioni delle danzatrici sacre davanti ai simulacri più esclusivi di Shiva, Viṣṇu e della dea Kālī [ … ] persino i sacerdoti fanatici che sorvegliano l’ara d’oro, sacra al più terribile degli dei, mi hanno creduto una bajadera del tempio [ … ] la vendetta dei sacerdoti buddisti per chi profana i riti [ … ] è terribile [ … ] conosco bene il Gange, Benares, ho sangue indù nelle vene».

Ma con l’assassinio del principe ereditario austriaco finì la Belle Époque ed ebbe inizio la prima guerra mondiale e dovette fare ritorno in Olanda.

Furono frequenti le visite nella sua casa de L’Aja del console tedesco Alfred von Kremer, che proprio in questo periodo l’avrebbe assoldata come spia al servizio della Germania, incaricandola di fornire informazioni sull’aeroporto di Contrexéville, presso Vittel, in Francia, dove ella poteva recarsi col pretesto di far visita al suo ennesimo amante, il capitano russo Vadim Masslov, ricoverato nell’ospedale di quella città. Mata Hari, divenuta agente H21, fu istruita in Germania dalla famosa spia Fräulein Doktor, che la immatricolò con il nuovo codice AF44.

La ballerina era già sorvegliata dal controspionaggio inglese e francese quando, il 24 maggio 1916, partì per la Spagna e di qui, il 14 giugno, per Parigi dove, tramite un ex-amante, il tenente di cavalleria Jean Hallaure, che era anche, senza che lei lo sapesse, un agente francese, il 10 agosto si mise in contatto con il capitano Georges Ladoux, capo di una sezione del Deuxième Bureau, il controspionaggio francese, per ottenere il permesso di recarsi a Vittel.Ladoux le concesse il visto e le propose di entrare al servizio della Francia, proposta che Mata Hari accettò, chiedendo l’enorme cifra di un milione di franchi, giustificata dalle conoscenze importanti che ella vantava e che sarebbero potute tornare utili alla causa francese.

Un pericoloso doppio gioco

A Vittel incontrò il capitano russo, fece vita mondana con i tanti ufficiali francesi che frequentavano la stazione termale e dopo due settimane tornò a Parigi. Qui, oltre a inviare informazioni sulla sua missione agli agenti tedeschi in Olanda e in Germania, ricevette anche istruzioni dal capitano Ladoux di tornare in Olanda via Spagna. Dopo essersi trattenuta alcuni giorni a Madrid, sempre sorvegliata dai francesi e dagli inglesi, a novembre s’imbarcò da Vigo per L’Aia. Durante la sosta della nave a Falmouth, nel Regno Unito, fu arrestata perché scambiata con una ballerina di flamenco, Clara Benedix, sospetta spia tedesca. Interrogata a Londra e chiarito l’equivoco, dopo accordi presi con Ladoux, Scotland Yard la respinse in Spagna, dove sbarcò l’11 dicembre 1916.

A Madrid continuò il doppio gioco, mantenendosi in contatto sia con l’addetto militare all’ambasciata tedesca, Arnold von Kalle, sia con quello dell’ambasciata francese, il colonnello Joseph Denvignes, al quale riferì di manovre dei sottomarini tedeschi al largo delle coste del Marocco. Il von Kalle comprese che Mata Hari stava facendo il doppio gioco e telegrafò a Berlino che «l’agente H21» chiedeva denaro ed era in attesa di istruzioni: la risposta fu che l’agente H21 doveva rientrare in Francia per continuare le sue missioni e ricevervi 15.000 franchi.

L’arresto

L’ipotesi che i tedeschi avessero deciso di disfarsi di Mata Hari – rivelandola al controspionaggio francese come spia tedesca – poggia sull’utilizzo da loro fatto in quell’occasione di un vecchio codice di trasmissione, già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva ancora identificata con la sigla H21. In tal modo, i messaggi tedeschi furono facilmente decifrati dalla centrale parigina di ascolto radio della Torre Eiffel.

Il 2 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell’albergo Elysée Palace dal capo della polizia Priolet con cinque ispettori e rinchiusa nel carcere di Saint-Lazare.

Di fronte al titolare dell’inchiesta, il capitano Pierre Bouchardon, Mata Hari adottò inizialmente la tattica di negare ogni cosa, dichiarandosi totalmente estranea a ogni vicenda di spionaggio.

Fu assistita, nel primo interrogatorio, dall’avvocato Édouard Clunet, suo vecchio amante, che aveva mantenuto con lei un affettuoso rapporto e che poté essere presente, secondo regolamento, ancora solo nell’ultima deposizione.

Poi, con il passare dei giorni, Mata Hari non riuscì a giustificare agli occhi della Corte le somme – considerate dall’accusa il prezzo del suo spionaggio – che il van der Capelen, suo amante, le inviava dall’Olanda, né le somme ricevute a Madrid dal von Kalle, che tentò di giustificare come semplici regali.

Dovette anche rivelare un particolare inedito, ossia l’offerta ricevuta in Spagna di lasciarsi ingaggiare come agente dello spionaggio russo in Austria. Riferì anche della proposta fattale dal capitano Ladoux di lavorare per la Francia, una proposta che cercò di sfruttare a suo vantaggio, come dimostrazione della propria lealtà nei confronti della Francia.

L’accusa non aveva, fino a questo momento, alcuna prova concreta contro Mata Hari, la quale poteva anzi vantare di essersi messa a disposizione dello spionaggio francese.

Il fatto è che il controspionaggio non aveva ancora messo a disposizione del capitano Bouchardon le trascrizioni dei messaggi tedeschi intercettati che la indicavano come l’agente tedesco H21.

Quando lo fece, due mesi dopo, Mata Hari dovette ammettere di essere stata ingaggiata dai tedeschi, di aver ricevuto inchiostro simpatico per comunicare le sue informazioni, ma di non averlo mai usato – avrebbe gettato tutto in mare – e di non avere trasmesso nulla ai tedeschi, malgrado i 20.000 franchi ricevuti dal console von Kramer, che ella, sostenne, considerò solo un risarcimento per i disagi patiti durante la sua permanenza in Germania nei primi giorni di guerra.

Quanto al messaggio di von Kalle a Berlino, che la rivelava come spia, Mata Hari lo considerò la vendetta di un uomo respinto.

I tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai considerata una spia.

Al contrario, il capitano Georges Ladoux negò di averle mai proposto di lavorare per i servizi francesi, avendola sempre considerata una spia tedesca, mentre l’addetto militare a Madrid, l’anziano Denvignes, sostenne di essere stato corteggiato da lei allo scopo di carpirgli segreti militari; quanto alle informazioni sulle attività tedesche in Marocco, egli negò che fosse stata Mata Hari a fornirle.

Entrambi gli ufficiali non seppero citare alcuna circostanza sostanziale contro Mata Hari, ma le loro testimonianze, nel processo, ebbero un peso determinante.

L’inchiesta si chiuse con un colpo a effetto: l’ufficiale russo Masslov, del quale Mata Hari sarebbe stata innamorata, scrisse di aver sempre considerato la relazione con la donna soltanto un’avventura.

La rivelazione non aveva nulla a che fare con la posizione giudiziaria di Mata Hari, ma certo acuì in lei la sensazione di trovarsi in un drammatico isolamento.

Venne emessa la sentenza secondo la quale l’imputata era colpevole di tutte le accuse mossele: «In nome del popolo francese, il Consiglio condanna all’unanimità la suddetta Zelle Marguerite Gertrude alla pena di morte […] e la condanna inoltre al pagamento delle spese processuali».

L’istanza di riesame del processo venne respinta dal Consiglio di revisione il 17 agosto e il 27 settembre anche la Corte d’Appello confermò la sentenza di condanna.

L’ultima speranza era rappresentata dalla domanda di grazia che l’avvocato Clunet presentò personalmente al Presidente della Repubblica Poincaré.

Fu fucilata. Nessuno reclamò il corpo, il quale fu trasportato all’Istituto di medicina legale di Parigi, sezionato e in seguito sepolto in una fossa comune.

(Fonte Web Alberto Pilato)