SHIKATA GA NAI ?? 9 Gennaio 2021 – Posted in: Parole – Tags: , , ,

L’arte giapponese del saper lasciar andare le cose come devono andare

Shikata ga nai significa letteralmente “non c’è niente da fare”. Può sembrare una frase di rassegnazione, paragonabile

al francese “C’est la vie”, ma ha in realtà un significato più profondoe radicato nella cultura e nella società giapponese. Shikata ga nai ha assunto una maggiore importanza dopo lo tsunami del 2011, ennesima dimostrazione della capacità del popolo giapponese di mantenere la dignità di fronte ad una tragedia inevitabile.

In questo caso accettare l’inevitabile ed andare avanti non significa, però, assumere una posizione passiva, remissiva. Non significa annichilirsi davanti al dolore. Anzi, è tutto il contrario: Shikata ga nai è abbracciare la propria vulnerabilità. Rendersi conto che alcuni fatti non possono essere controllati significa focalizzarsi su ciò che invece possiamo fare per stare meglio, sia internamente sia esternamente.

La filosofia dello Shikata ga nai

Il TIME faceva riferimento allo Shikata ga nai già nel 1945. Durante la guerra, e dopo la catastrofe dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, i giapponesi già affermavano “non si può evitare”. Anche l’imperatore Shōwa, nel 1975, commentò in questo modo il bombardamento di Hiroshima: “È molto deplorevole che le bombe nucleari siano state lanciate, e mi dispiace per i cittadini di Hiroshima, ma non si poteva evitare perché eravamo in tempo di guerra”.

Il commento dell’imperatore può sembrare cinico, quasi estremo, ma Shikata ga nai non è cinismo: è una vera e propria presa di coscienza del fatto che la vita comprende anche questi aspetti drammatici, a cui non possiamo fare rimedio, ma che possiamo accettare e superare con la forza d’animo.

Così, le bombe nucleari e le esplosioni devastanti come quella di Fukushima vengono inscritte nell’ordine delle cose. Rimane la sofferenza, una sofferenza profonda per i cari perduti. Ma si va avanti, trovando il coraggio e la voglia di vivere. Non si rimane intrappolati in tunnel di pensieri sul “come poteva andare diversamente”. Non ci sono se. C’è però l’accettazione della propria vulnerabilità, senza rifiutarla, ed è proprio così che si può evitare la sconfitta.

Proprio come l’erba può venir calpestata, tagliata, bruciata e gelata ma rinasce ogni volta più forte e vigorosa, così noi stessi possiamo venire schiacciati dal dolore ma imparando ad abbracciare la vulnerabilità il nostro spirito può tornare più forte di prima.

Lo Shikata ga nai e l’internamento dei giapponesi in USA
Gli occidentali scoprirono lo Shikata ga nai ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. In seguito ad essa, i giapponesi non rimasero a leccarsi le ferite, anzi: ognuno lavorò duro per far rinascere il paese. Soprattutto a livello collettivo, il Giappone applicò questa filosofia in modo onorevole.

A livello individuale, però, lo Shikata ga nai può non essere lineare come sembra, vista la complessità della psiche umana. Forse sono critiche mosse soprattutto da occidentali che non riescono a sintonizzarsi con Shikata ga nai fino in fondo, ma c’è chi afferma che questo modo di pensare può, in alcuni casi, generare una certa apatia.

Questo è stato osservato anche nei campi di internamento dei giapponesi-americani durante la Seconda Guerra Mondiale. La frase shikata ga nai viene a tutti gli effetti molto spesso associata a questo triste avvenimento storico. Intere famiglie di giapponesi stanziati negli USA, sia con cittadinanza americana sia senza, vennero internate in campi di prigionia dove dovettero subire condizioni disumane.

Shikata ga nai è stata usata per descrivere la rassegnazione alla totale impotenza. Rimasti per mesi, se non anni, senza privacy, cure mediche e accesso all’educazione per i figli, i giapponesi americani deumanizzati si ripetevano spesso Shikata ga nai. Questo è stato descritto, meno positivamente, anche come una internalizzazione e soppressione di emozioni.

Come praticare Shikata ga nai

Non c’è dubbio che lo Shikata ga nai è una filosofia interessante. Potrebbe aiutare tutti noi a sviluppare la cosiddetta resilienza, a rispondere in modo più funzionale ad eventi devastanti senza rimanere bloccati nel nostro dolore.

Nel suo libro “L’arte giapponese di nutrire mente, corpo e spirito” l’autrice Candice Kumai suggerisce sei passi per sviluppare questa attitudine:

Respirare profondamente. Specialmente attraverso il naso, la respirazione aiuta a sentirsi più radicati a terra e riporta alla realtà, al presente. Prestando attenzione al corpo e alle sue tensioni possiamo usare il respiro per scioglierle.

Smettere di paragonarsi con gli altri. Paragonare le propria vita a quella degli altri porta solo frustrazioni. Soprattutto perché ognuno di noi agisce secondo modalità uniche. Interagiamo con gli altri e interpretiamo gli avvenimenti seguendo un nostro stile irripetibile. Se ci paragoniamo agli altri è un po’ come se una rosa si paragonasse ad un girasole: non ha assolutamente senso. Ognuno ha la propria storia e il proprio compito. Se ci rendiamo conto che ci ritroviamo a confrontarci con qualcuno altro è meglio prendersi una pausa, cercando di onorare quello che si è, si sa fare e si è fatto. Si può però ovviamente usare la vita altrui per trarre spunti e insegnamenti, ma anche uno slancio per migliorarsi.

Prendersi cura di sè. Al giorno d’oggi siamo avviluppati in ritmi freneteci, spesso imposti dall’esterno. Il risultato è che smettiamo di esistere come persone. Bisogna prendersi cura del proprio corpo, delle proprie emozioni e della propria mente. Mangiare sano, dedicare tempo ai propri affetti, vivere in mezzo alla natura, leggere e divertirsi.

Cambiare prospettiva. A volte è tutta una questione di prospettiva. Qualcosa che può sembrarci tremendo si può trasformare in un dettaglio quasi irrilevante, in alcuni casi: basta cambiare prospettiva. Per farlo si può, ad esempio, compiere un piccolo viaggio, o più semplicemente fare qualcosa di nuovo, qualsiasi cosa. Cogliere stimoli creativi e costruttivi che la vita ci ha proposto ma che non avevamo ancora considerato.

Stare in mezzo alla natura. Un nuovo modo di praticare shikata ga nai è immergersi nella natura. Camminare lentamente in un bosco, contemplare la bellezza del nostro mondo, connettersi con gli alberi, l’erba, il mare. Anche questo portarà a intuizioni nuove, a consapevolezze e prospettive diverse.

Saper chiedere aiuto. Possediamo un grandissimo tesoro: i nostri amici. Soprattutto nei momenti di difficoltà, gli amici ci possono offrire il sostegno che serve per andare avanti. E aiutarci anch’essi ad assumere nuove prospettive.

Come abbiamo già illustrato, la complessità della nostra mente e delle nostre emozioni renderà difficile restare sempre sintonizzati con questo approccio alla vita. Trovando un giusto bilanciamento, però, evitando di cadere nell’empatia, lo Shikata ga nai può diventare una grande risorsa.

(Fonte https://www.wonews.it/post/shikata-ga-nai)