Essere anacronistico”: fuori tempo o avanti anni luce? 12 Giugno 2025 – Posted in: Parole – Tags: #FenomenologiaDellaLingua #Anacronismo #ParoleItaliane #LinguaItaliana #CuriositàLinguistiche #Etimologia #StileDiVitaVintage #ParoleCheInsegnano #ItalianoIronico #ParoleDaRiscoprire, anacronistico
Essere anacronistici: vizio, virtù o solo un errore di epoca?
C’è chi vive nel futuro, e chi — diciamolo — sembra appena uscito dal Medioevo. No, non parliamo dei look retrò (quelli sono ancora fashion), ma di idee, abitudini e modi di fare che ci fanno esclamare: “Questo è proprio anacronistico!”
Un termine che oggi usiamo con una certa leggerezza, ma che in realtà ha origini nobili, un significato preciso… e una dignità che merita rispetto. Vediamolo insieme — con il giusto tocco ironico, ché anche le parole serie sanno ridere.
Origine della parola: un viaggio nell’antica Grecia
L’anacronismo (dal greco antico: ανά-, aná-, “contro” e χρόνος, chrónos, “tempo”) è un’incoerenza cronologica che consiste nella rappresentazione, raffigurazione o narrazione di oggetti, persone, avvenimenti o menzioni posteriori al periodo in cui è ambientata la narrazione principale.
Letteralmente? “Contro il tempo”.
Nel senso di: fuori tempo massimo. Ma non nel modo in cui ci si presenta in ritardo a cena. Parliamo di veri e propri cortocircuiti temporali. In origine, il termine indicava un errore storico o narrativo: mettere, ad esempio, una penna a sfera nelle mani di Dante o immaginare Nerone con un iPad in mano mentre incendia Roma.
Quando si usa oggi?
Oggi “anacronistico” è diventato un giudizio culturale bello pronto.
Ecco alcuni usi tipici:
- Quel collega che stampa le email: anacronistico.
- Chi ascolta musica su un walkman: anacronistico.
- Chi chiama ancora al telefono invece di mandare un vocale: anacronistico (ma forse solo educato).
Insomma, serve a descrivere tutto ciò che stride col presente.
Non solo oggetti, ma anche comportamenti, idee, persino valori.
Un modo gentile (ma neanche troppo) per dire che qualcosa è rimasto indietro.
Ma essere anacronistici è davvero un male?
Qui arriva il bello: dipende da come lo si vive.
Per alcuni, è una condanna sociale. Per altri, è una forma di resistenza culturale.
Un gesto di eleganza, di lentezza, di scelta.
Pensiamo a chi si veste come negli anni ’40, a chi scrive lettere a mano, a chi legge il giornale di carta al bar. Anacronistici? Certo. Ma anche poetici, radicali, liberi.
In un mondo che corre, chi resta fermo diventa un ribelle.
C’è chi vive offline non perché non sa usare i social, ma perché vuole vivere davvero.
C’è chi colleziona vinili e rifiuta lo streaming.
Chi cucina come faceva la nonna, e non ha mai ordinato delivery.
Tutti questi sono anacronismi viventi.
E non è detto che siano nel torto.
Conclusione: fuori tempo, ma nel modo giusto
In fondo, essere anacronistici è una scelta di campo.
In un’epoca che cambia ogni cinque minuti, fermarsi può sembrare assurdo.
Ma proprio per questo, forse, è il gesto più rivoluzionario che ci sia.
Fuori dal tempo? Forse.
Ma dentro un tempo più vero, più umano.
Anche solo per il tempo di una tazzina di caffè letta su un giornale di carta.
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