TOSCA 1900-2025 – L’Opera che anticipò il Femminicidio 3 Novembre 2025 – Posted in: Lo Sapevi che, Momenti – Tags: , , , , , ,

TOSCA 1900-2025

Quando l’opera diventa specchio inquietante della contemporaneità

Il 14 gennaio 1900: Roma assiste a una nuova forma di teatro

Centoventicinque anni esatti separano due epoche, eppure il grido di Tosca che si getta dalla terrazza di Castel Sant’Angelo risuona oggi con una tonalità ancora più stridente. Quel 14 gennaio del 1900, al Teatro Costanzi (oggi Teatro dell’Opera), Roma era in fermento.

Non si trattava di una semplice première: Giacomo Puccini aveva osato portare in scena qualcosa di inaudito per il melodramma italiano—una violenza cruda, esplicita, psicologica prima ancora che fisica.

La città attendeva con “febbre”, come testimoniavano le cronache dell’epoca. Nei salotti, nei ritrovi privati, si sussurravano già le descrizioni delle scene più forti: la tortura, il ricatto sessuale, il femminicidio mascherato da suicidio. Puccini aveva compreso, con l’istinto del genio, che la vera tragedia non sta nei gesti grandiosi ma nell’abuso di potere quotidiano, nella prevaricazione che si maschera da desiderio.

I tre luoghi del potere, della violenza, della morte

L’opera si svolge in meno di ventiquattro ore attraverso tre luoghi iconici di Roma, ciascuno carico di significati stratificati:

ATTO I – Sant’Andrea della Valle: l’inganno nello spazio sacro

La Basilica di Sant’Andrea della Valle, costruita tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, rappresenta il primo teatro della manipolazione. Qui Scarpia, il barone di polizia, inizia la sua macchinazione. La cappella Barberini—oggi nota come “Cappella della Tosca”—fu testimone fittizia di quell’incontro tra il pittore Cavaradossi e Tosca, dove la gelosia viene sapientemente instillata dal carnefice.

Puccini scelse questo luogo non casualmente: la cupola del Lanfranco, seconda solo a quella di San Pietro, con la sua “Gloria del Paradiso” (1625), sovrasta la scena con un’ironia tagliente. Mentre gli affreschi celebrano l’ascesa al cielo, sul pavimento sottostante si trama la caduta di tre vite. Il sagrestano che recita l’Angelus, le campane che suonano il Te Deum: tutto il rituale della devozione diventa fondale sonoro per l’abuso di potere.

ATTO II – Palazzo Farnese: la tortura nell’antro del potere

Palazzo Farnese, capolavoro rinascimentale progettato da Antonio da Sangallo il Giovane e completato da Michelangelo, era nel 1800 sede dell’ambasciata borbonica. Nella finzione pucciniana diventa l’appartamento di Scarpia, il luogo dove il potere si esercita senza testimoni.

Qui avviene ciò che il teatro dell’epoca raramente aveva il coraggio di rappresentare: la tortura (fuori scena, ma udibile) di Cavaradossi, e il ricatto sessuale esplicito. Scarpia promette la salvezza del pittore in cambio del corpo di Tosca. “Quanto?” chiede lei, cercando disperatamente una transazione economica. Ma Scarpia risponde con agghiacciante chiarezza: “Già, mi dicon venal / e a donna bella io non mi vendo / a prezzo di moneta”. Vuole possesso, non denaro. Vuole annientamento, non scambio.

Il pugnale che Tosca affonda nel petto di Scarpia è gesto di autodifesa davanti a uno stupro annunciato. Eppure la sua vittoria è illusoria: la macchina del potere maschile ha già deciso tutto.

ATTO III – Castel Sant’Angelo: l’inganno supremo e la morte

Castel Sant’Angelo, mausoleo imperiale trasformatosi in fortezza papale e poi in prigione politica, diventa il luogo dell’esecuzione. L’alba romana che Puccini descrive musicalmente attraverso le campane del mattutino—che il compositore andò personalmente ad ascoltare per catturarne l’intonazione esatta—è l’alba di una finta speranza.

La fucilazione “simulata” promessa da Scarpia è vera. Cavaradossi muore. E Tosca, comprendendo l’inganno, si getta dalla terrazza nel Tevere sottostante al grido: “O Scarpia, avanti a Dio!”

Quella terrazza, visitabile ancora oggi, offre una vista mozzafiato sulla città eterna. Ma per Tosca è solo il punto da cui fuggire un mondo in cui il suo corpo era diventato merce di scambio, la sua vita un gioco nelle mani altrui.

2025: Il ritorno della Tosca originale e lo specchio contemporaneo

Quest’anno il Teatro dell’Opera di Roma celebra i 125 anni dalla prima rappresentazione riproponendo l’allestimento storico del 1900, ricostruito nel 2015 con i bozzetti originali di Adolf Hohenstein. Le scene ricreate da Carlo Savi, i costumi da Anna Biagiotti: tutto restituisce la Roma che Puccini vide. La regia di Alessandro Talevi si attiene scrupolosamente alle didascalie originali del libretto.

Il 14 gennaio 2025, esattamente 125 anni dopo, Michele Mariotti ha diretto questa “Tosca come Puccini la vide”. E il 1° novembre 2025, Rai3 trasmetterà l’evento in mondovisione. È un omaggio doveroso. Ma è anche—inevitabilmente—una domanda rivolta al pubblico contemporaneo.

Il femminicidio che non si chiama così

Perché oggi quella storia risuona con toni ancora più dolorosi? I dati parlano una lingua spietata. Nel 2024, in Italia, sono state uccise 111 donne. Di queste, 96 sono morte in ambito familiare o affettivo, 59 per mano del partner o ex partner. Nel 2025, alla data dell’8 ottobre, il bilancio raggiunge già le 70 vittime secondo l’Osservatorio nazionale di Non Una Di Meno.

Tosca non muore tecnicamente per mano di Scarpia. Si suicida. Ma è un suicidio indotto dal sistema di violenza e inganno che lui rappresenta. È ciò che oggi la criminologia chiama “femminicidio indiretto”: quando la donna si toglie la vita per sottrarsi alla violenza del possesso maschile.

La dinamica è sempre la stessa:

  • Un uomo in posizione di potere
  • Una donna desiderata e non ricambiata
  • Il ricatto (esplicito o implicito)
  • La violenza (fisica o psicologica)
  • La morte

Nel 1800 fittizio dell’opera, Scarpia è il barone di polizia. Oggi i carnefici sono mariti, compagni, ex partner, colleghi. Il 65% dei casi del 2025 si concentra in Lombardia, Campania, Toscana, Lazio e Piemonte. L’età media delle vittime è 55 anni. La più giovane aveva 1 anno. La più anziana 93.

Perché l’opera conta ancora

Puccini non era un moralista. Era un drammaturgo che capiva le pulsioni umane. Tosca mette in scena la violenza patriarcale senza filtri romantici: Scarpia non è un amante respinto che impazzisce, è un predatore lucido. Cavaradossi non può salvare Tosca perché il potere sta altrove. E Tosca stessa, cantante celebre e donna libera, scopre che la sua libertà era illusoria.

Rivedere oggi quell’allestimento del 1900, con le scenografie che ricreano la Roma barocca, significa guardare in uno specchio a doppia faccia: da un lato la bellezza dell’arte, dall’altro l’orrore di una violenza che non è mai cessata. Anzi, che oggi ha assunto forme ancora più pervasive: lo stalking (29.946 denunce nel 2023), il controllo digitale, la violenza economica, l’isolamento sociale.

La responsabilità del melodramma

C’è un’accusa che spesso viene mossa all’opera lirica: quella di estetizzare la morte femminile, di farne spettacolo. Tosca si getta nel vuoto e il pubblico applaude. Ma l’arte non ha il compito di fornire soluzioni—ha il compito di mostrare, di far risuonare, di non permettere l’oblio.

Quando Tosca canta “Vissi d’arte, vissi d’amore”, non sta solo lamentandosi. Sta interrogando un mondo che punisce la donna per la sua stessa esistenza. “Perché, perché Signore, perché me ne rimuneri così?” Quella domanda, nel 1900, era retorica. Nel 2025 è un atto d’accusa.

Epilogo: La città che non dimentica

Roma custodisce ancora quei tre luoghi. Sant’Andrea della Valle apre ogni giorno ai fedeli e ai turisti. Palazzo Farnese è sede dell’ambasciata francese e si visita su prenotazione. Castel Sant’Angelo è museo. Si può percorrere l’itinerario della Tosca in una mattinata, attraversando piazza Farnese, corso Vittorio Emanuele, ponte Sant’Angelo.

Ma è possibile percorrere questi luoghi senza pensare a tutte le Tosca contemporanee? A Giulia Cecchettin, uccisa a 22 anni dall’ex fidanzato nel novembre 2023. A Martina Carbonaro, 14 anni, il cui corpo fu ritrovato il 28 maggio 2025 ad Afragola. A Cinzia Pinna, 33 anni, scomparsa e uccisa in Gallura nel settembre 2025. A Elena Belloli, Ilaria Sula, Sara Campanella. A tutte quelle di cui non conosciamo il nome perché la cronaca ha smesso di contare.

L’opera di Puccini ci dice una cosa semplice e terribile: la violenza contro le donne non è un’emergenza, è una struttura. Non è passionale, è sistemica. E fino a quando continueremo a chiamarla “dramma”, “tragedia”, “raptus”, invece di chiamarla con il suo nome—femminicidio—continueremo a essere complici di quel grido che si perde nel vuoto.

La Tosca del 1900 e quella del 2025 sono la stessa donna. Cambia solo il costume di scena.

Per approfondire:

 

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