Il Filo di Freud: dal gioco infantile all’opera poetica 28 Maggio 2025 – Posted in: Momenti – Tags: #Freud #Psicoanalisi #Fantasia #Gioco #Arte #Desiderio #Psicologia #BlogCultura #FiloRosso #Letteratura #Infanzia #Narrativa, Il Filo di Freud
Il Filo di Freud
Cosa lega il gioco innocente di un bambino a un capolavoro poetico?
Cosa accomuna le fantasie adolescenziali a un racconto epico o a un sogno collettivo?
Secondo Sigmund Freud, il filo è sempre lo stesso: il desiderio.
Nel saggio Il poeta e la fantasia (1907), Freud individua un nucleo comune tra il gioco dei bambini e la creazione poetica.
Entrambi, infatti, costruiscono mondi immaginari. Ma non si tratta di frivolezze: sono territori emotivi profondi, dove realtà e sogno si intrecciano in una trama che ha poco a che vedere con il semplice “divertimento”.
Gioco e serietà
Freud scrive:
“Avremmo torto se pensassimo che il bambino non prenda sul serio un tale mondo; egli prende anzi molto sul serio il suo giuoco e vi impegna notevoli ammontari affettivi. Il contrario del giuoco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale.”
Il bambino, quindi, non gioca per fuggire dalla realtà, ma per costruirne una parallela, dove può esprimere liberamente i propri vissuti.
Un’attività che, secondo Freud, non si interrompe mai davvero: cambia solo forma.
La fantasia cresce con noi
Nell’adolescenza, il gioco diventa “sogno a occhi aperti”. Si affacciano desideri di gloria, d’amore, di libertà. Ma, crescendo, questi mondi interiori diventano più difficili da mostrare: la società impone silenzi e maschere.
Freud viveva nell’epoca vittoriana, segnata da un moralismo severo. Le fantasie dell’adulto non trovano spazio, se non in due ambiti tollerati:
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La psicoanalisi, sul lettino dello specialista.
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La creazione artistica, dove il desiderio può travestirsi da bellezza.
Il filo rosso del desiderio
Dall’analisi delle sue sedute, Freud individua un filo conduttore tra infanzia, adolescenza e maturità: il desiderio inappagato.
“Si deve intanto dire che l’uomo felice non fantastica mai; solo l’insoddisfatto lo fa. Sono desideri insoddisfatti le forze motrici delle fantasie, e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti.”
Ciò che spinge a fantasticare è sempre una mancanza. Due sono i grandi motori:
Quando questi desideri restano inascoltati, possono diventare fonte di sofferenza. La fantasia può salvare, ma può anche essere trappola. E in questo, Freud vede il confine tra arte e nevrosi.
L’arte come prosecuzione del gioco
Nel mondo poetico, Freud nota un tratto costante: un eroe centrale, sempre protetto da una “provvidenza narrativa”.
Quel protagonista, in realtà, è l’autore stesso, o il lettore che vi si identifica.
Attorno a lui, gli altri personaggi diventano parti dell’Io, immagini del Super-Io, frammenti della Psiche.
L’intero universo narrativo è una proiezione strutturata della mente.
“Quanto al rilievo così dato in modo forse eccezionale ai ricordi d’infanzia nella vita dei poeti, non dimenticate che in ultima analisi esso è una conseguenza della proposizione iniziale per cui tanto l’attività poetica quanto la fantasticheria costituiscono una continuazione e un sostitutivo del primitivo giuoco di bimbi.”
Il sogno collettivo: fiabe, miti, leggende
E se la fantasia non fosse solo individuale?
Freud ipotizza che i miti, le fiabe e le narrazioni popolari siano sogni condivisi, proiezioni collettive di desideri universali. Una forma di psicologia dell’inconscio… sociale.
Nel saggio Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), Freud spiega che psiche individuale e psiche collettiva non sono separate, ma sovrapposte, collegate da un medesimo filo rosso.
Per approfondire:
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Sigmund Freud – Il poeta e la fantasia
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Sigmund Freud – Psicologia delle masse e analisi dell’Io
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Otto Rank – L’artista
Conclusione
Il gioco, la fantasia, l’arte, il mito: tutti parlano lo stesso linguaggio, quello del desiderio.
Quel filo invisibile che ci accompagna per tutta la vita, dai castelli costruiti con le mani sporche di terra… ai versi scritti di notte per placare un vuoto che non si colma.
E forse, come intuisce Freud, ogni creazione umana non è altro che un modo per tornare bambini — ma con parole nuove.
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